Giorgio Zanchin,
Centro
di Riferimento per la Diagnosi e Cura delle Cefalee della
Regione VenetoDipartimento di Neuroscienze, Università di Padova
giorgio.zanchin@unipd.it
L’ Età Classica
e il Medioevo
Dal
Rinascimento all’Illuminismo
Verso l’oggi
Il presente e
il futuro prossimo
L’Età Classica e il Medioevo
La cefalea costituisce per la specie umana una esperienza
dolorosa molto diffusa, di cui abbiamo testimonianza dai tempi
più antichi. Tra le fonti scritte, il papiro di Ebers (1500 a.C.)
riporta un disturbo caratterizzato da cefalea localizzata a metà
del capo, accompagnata da vomito. In questo quadro clinico
sembra di poter riconoscere la prima descrizione dell’emicrania.
Nel Corpus Hippocraticum, pure
così ricco di osservazioni cliniche accurate e originali,
troviamo limitate descrizioni di cefalee di natura secondaria.
Il solo passo di Ippocrate (ca. 460-370 a.C.) che sembra
riferirsi a una cefalea primaria viene interpretato come un caso
di emicrania con aura: "Gli sembrava vedere qualcosa che gli
brillava davanti come una luce, usualmente nella parte
dell'occhio destro; a breve distanza, sopravveniva un dolore
violento alla tempia destra, poi in tutto il capo e il collo.....Vomitando
…era in grado di distogliere il dolore. Ippocrate coglie
l’importanza dello stato emotivo nel facilitare gli attacchi: se
la crisi di cefalea insorge in seguito a un eccesso di collera o
a uno stato di intensa malinconia, si curino dapprima questi
stati d' animo.
Areteo di Cappadocia (II sec. d.C.)
riporta descrizioni cliniche attente e fedeli di diverse
affezioni di interesse neurologico. Nell’opera Cause e
sintomi delle malattie croniche, distingue cefalalgia
(cefalea episodica moderata), cefalea (cronica, di
maggiore intensità), eterocrania (limitata a metà del
capo, emicranica).Egli ci dà la prima descrizione
pressoché completa dell'attacco di emicrania, che chiama
eterocrania: “ In certi casi duole l'intera testa, il
dolore è talvolta a destra, talvolta a sinistra... questa si
chiama eterocrania. I pazienti fuggono la luce, il buio allevia
la loro malattia, la loro percezione olfattiva è alterata”.
Lo stesso male viene chiamato per la
prima volta emicrania, termine che alla fine prevalse
nell’uso, da Galeno di Pergamo (ca.129-199 d.C.). Con Galeno si
consolida ulteriormente la teoria umorale che già Ippocrate
aveva elaborato nel De natura hominis. In base a tali
principi il mal di capo origina da umori nocivi che raggiungono
il cervello. La teoria umorale diventerà il riferimento costante
della pratica medica sino al Rinascimento e, specie nella
terapia, sarà influente addirittura fino al primo Ottocento.
Conseguentemente, curano il mal di testa le pratiche tese ad
eliminare gli "umori peccanti", quali salassi, purganti,
sudoriferi.
Vengono anche consigliate terapie di
chiara derivazione popolare con evidenti riferimenti di
contenuto magico. Così nel Liber medicinalis di Quinto
Sereno Sammonico (II secolo d.C.) nel capitolo sulla terapia
dell’emicrania troviamo: “ Nel dolore acuto che colpisce una
metà del capo daranno sollievo l'aglio avvolto in lana e…i
balsami introdotti nell'orecchio dalla parte opposta; o il
massaggio con tre spicchi d'aglio e tre grani di pepe tritati
insieme: questa terapia darà sicura guarigione”.
Una importante fonte medioevale, il cosiddetto Pseudo-Apuleio,
ci mostra chiaramente l'importanza attribuita anche in questa
epoca alla crisi emicranica rispetto a un più generico dolore di
capo, verosimilmente una cefalea di tipo tensivo, sia per i
rimedi consigliati: l’aneto, pianta blandamente sedativa nel
primo caso, il "papaver silvaticum", contenente gli
alcaloidi dell'oppio nel secondo; sia per la raffigurazione
dell'aspetto particolarmente sofferente del paziente emicranico
e dell’impegno assistenziale svolto da personale più numeroso,
con l’esecuzione di manovre chiaramente tese ad alleviare i
disturbi vegetativi .
A partire dal basso medioevo, la pratica medica può avvalersi
anche del Regimen Sanitatis o Flos Medicinae,
raccolta indicazioni medico-dietetiche per la conservazione e la
cura della salute, in parte fondata sui canoni della medicina
araba, redatto intorno al 1100 a Salerno. La Scuola Medica
Salernitana, fiorente dal X al XIII secolo, continua nella
tradizione galenica e tiene distinta l'emicrania da altre
cefalee.
Dal Rinascimento all’Illuminismo
Con la ripresa dell’interesse per lo studio della natura che
caratterizza il Rinascimento, si assiste ad un rapido sviluppo
delle conoscenze cliniche.
Il francese Charles Le Pois (1563-1633) fornisce la prima
descrizione di aura emicranica. Curiosamente, il quadro clinico
che egli chiama Hemicraniae insultus non corrisponde alla
comune aura visiva, ma ad un’aura sensitiva: “il paziente
avverte…intorpidimento del dito mignolo della mano sinistra,
come la sensazione di un movimento di formiche, che inizia
sempre dallo stesso dito e diffonde all’arto intero come un
brivido.”
L’ inglese Willis, dedica i primi due
capitoli del De Anima Brutorum (1672) alla cefalea. Egli
prende in considerazione anche il possibile coinvolgimento del
circolo cerebrale nella genesi dell’attacco emicranico,
anticipando così in parte le teorie vascolari che, come
vedremo, si affermeranno nel corso dell’Ottocento.
Ricordiamo, inoltre, l’opera di Bernardino Ramazzini
(1630-1714), il padre della Medicina del Lavoro che nel suo
De morbis artificum diatriba (1700 e 1712) mette in luce per
primo la cefalea come possibile conseguenza di varie attività
lavorative. Un interesse così attento per le cefalee da parte di
Ramazzini potrebbe avere anche motivazioni personali. Infatti,
da quanto egli scrive, si deduce che egli stesso era un
emicranico e che gli odori potevano scatenare i suoi attacchi: “Ci
sono molte altre botteghe che sono …afflizione per l’olfatto.
Ogni volta io metto piede in simili luoghi, devo dire che il
mio stomaco è sconvolto e non posso sopportare a lungo quella
puzza senza soffrire di cefalea e vomito”.
Se ora esaminiamo brevemente l'impiego dei farmaci, risulta
evidente che molte piante, estratti animali e minerali furono
adoperati fin dai tempi antichi per curare i dolori del capo.
Particolarmente rinomata nel Mediterraneo ed in Europa era la
triaca. Questa panacea di origine antichissima, introdotta da
Andromaco, medico di Nerone, era un polifarmaco formato con
oltre cinquanta componenti, tra cui la carne di vipera, alla
quale veniva attribuita la sua attività terapeutica, sebbene
oggi sappiamo che l’attività analgesica era esercitata
dall'oppio. Tra le diversissime indicazioni mediche, la teriaca
si usava anche per il mal di testa.
Nelle formule di polifarmacia del XVII° secolo sono spesso
contenuti preparati chimici, che documentano il definitivo
affermarsi della spagirica, cioè della farmacopea delle
sostanze minerali: un esempio è il bezoardico lunare, a base di
butirro di antimonio e argento, che "vien destinato dai
chimici a' mali del capo ".
Verso
l’oggi
Lo
sviluppo nel secolo precedente delle ipotesi chimiche del
Lavoisier anche in ambito farmaceutico e l'affinarsi della
tecnologia, consentono all’inizio dell’800 per la prima volta
l'isolamento dei principi attivi. Nella seconda metà del secolo,
specie ad opera dei chimici tedeschi, erompe la corsa alla
sintesi di farmaci non esistenti in natura, molti dei quali
dotati di proprietà analgesiche.
Nel 1804 Setürner, un farmacista di Heinbeck in Hannover, nel
corso delle sue ricerche sull’oppio, riesce per primo ad
ottenere l’isolamento di un principio attivo, la morfina. Nel
1887 compare il primo analgesico di sintesi, la fenacetina,
mentre uno dei farmaci anticefalalgici di maggior successo,
l’acido acetilsalicilico o aspirina, viene introdotto nel 1899.
Ancora, ricordiamo l’isolamento dalla miscela di alcaloidi
dell’ergot, dell’ergotamina, realizzato per la prima volta nel
1918 ad opera di Stoll, a distanza di più di cinquant’anni
dall’introduzione nella pratica clinica dei derivati
ergotaminici, considerati efficaci nell’emicrania in
conseguenza della loro azione vasocostrittiva.
L’Ottocento vede, infatti, aprirsi un acceso dibattito che nella
prima parte del secolo contrappone teorie vasogeniche
differenti, che si confrontano nella seconda metà del secolo
con la teoria neurogenica, cerebrale.
Edward Liveing (1832-1919) riconduce ad una ricorrente,
parossistica alterazione del funzionamento cerebrale la
patogenesi dell’emicrania: “..lo stesso attacco parossistico
può essere equiparato ad una tempesta [nervosa]” (“nerve
storm”).
Fra i sostenitori di questa teoria
figura Sir William Gowers (1845-1915), che sul piano
farmacologico distingue chiaramente per la prima volta i farmaci
di attacco e quelli di profilassi.
Sia in Gowers che nei repertori del tempo, come ad esempio ne
I nuovi prodotti chimico-farmaceutici, stampato nel 1899 dal
Lamanna e largamente usato in Italia, troviamo già elencati
molti farmaci di sintesi, tra cui i primi FANS: la benzacetina,
derivato della fenacetina; l'antipirina; il sodio salicilato.
Nel Novecento,
sul piano terapeutico, fondamentali risultano le ricerche sulla
serotonina già iniziate negli anni ’60 da Sicuteri e da Anthony
and Lance, che puntano alla sintesi di molecole
serotonino-simili, in grado di agire selettivamente sul
distretto vascolare intracranico con azione vasocostrittrice.
L’obiettivo viene perseguito mediante l’identificazione di
subrecettori serotoninergici dotati di attività specifica e la
sintesi di analoghi della serotonina. Nel 1984 Humphrey realizza
la sintesi del sumatriptan, capostipite di questa classe di
molecole, che costituisce un netto avanzamento nella terapia
dell’emicrania.
Di grande impatto, sia sul piano clinico che della ricerca, sono
i moderni progressi nella nosografia che culminano nell’adozione
da parte della comunità scientifica della International
Classification of Headache Disorders (ICHD, 1988), di tipo
clinico-descrittivo e dotata di criteri operativi diagnostici,
aggiornata nel 2004 (ICDH-II).
Il presente e il futuro prossimo
Tra le cefalee primarie, particolare rilievo nella pratica
clinica assume l'emicrania, i cui criteri diagnostici ICHD-II
comprendono le caratteristiche degli attacchi (durata,
frequenza, ripetitività) e del dolore (sede, pulsatilità,
intensità), e la presenza di sintomi associati (nausea, vomito,
fono, fotofobia). La prevalenza di questa cefalea primaria si
attesta nel nostro Paese su valori intorno a 12%, con una netta
preponderanza femminile. II picco corrisponde all'età
giovanile-adulta: ne consegue un rilevante impatto, anche
economico, sulle attività lavorative e sulle relazioni sociali,
a causa della notevole compromissione funzionale e dell'ansia
anticipatoria legata agli attacchi.
Nonostante sia elevato, il dato di prevalenza del 12%
rappresenta verosimilmente una sottostima. Molti di questi
pazienti non si sottopongono a visita; ad essi vanno aggiunti
coloro che, pur recatisi dal medico, non ricevono una corretta
diagnosi. Secondo un recente studio, la percentuale di
emicranici non riconosciuti per ragioni diverse è superiore al
50%. Si aggiungono i pazienti che, a vario titolo, interrompono
la relazione terapeutica, privandosi delle possibilità oggi
disponibili. Un approccio medico-paziente più attento può
ridurre, almeno in parte, questa situazione. La prima visita
costituisce un momento fondamentale, che imposta il successivo
iter sia dal punto di vista delle scelte terapeutiche sia, in
misura non meno rilevante, sotto il profilo relazionale, anche
se il tempo richiesto per una approfondita raccolta dei dati
anamnestici, che consenta un inquadramento atto a configurare
correttamente la diagnosi di emicrania, può costituire una
difficoltà notevole.
Sono questi temi, di interesse più generale, solitamente
poco approfonditi ma in grado di migliorare nell’immediato
l’efficacia delle cure, che verranno trattati ora in dettaglio.
Si rinuncia in questa sede ad esaminare (anche se l’ argomento è
stato presentato nel corso della lettura) la terapia sia dell’
attacco che di profilassi, anche con promettenti, nuovi principi
attiv in corso di studio, per la quale si rimanda alle Linee
Guida della SISC, il cui aggiornamento sarà disponibile
all’inizio del nuovo anno.
In sintesi, due sono gli aspetti più rilevanti per una corretta
gestione del problema emicrania: il primo, più propriamente
clinico, si fonda essenzialmente sull'attenta raccolta dei dati
anamnestici seguita da un accurato esame obiettivo generate e
neurologico e dall'eventuale approfondimento bioumorale e/o
strumentale. II secondo aspetto, non meno importante del
precedente anche perchè può condizionarlo, prevede
l'informazione partecipe del paziente, ed è indispensabile per
stabilire la cosiddetta alleanza terapeutica, fattore essenziale
per ottenere, tra l 'altro, la massima compliance.
Una parte del tempo della visita dovrà, quindi, essere dedicata
a chiarire alcuni aspetti fondamentali. Al paziente vanno
spiegati fin dalla prima visita la natura della sua cefalea ed i
provvedimenti disponibili sia per la terapia di attacco che, se
indicata, di profilassi. Vanno subito chiariti gli obiettivi e i
limiti dell'intervento: la guarigione, intesa come scomparsa
definitiva dell'emicrania senza ulteriore utilizzo di farmaci
non è non fa parte degli obiettivi realistici; debbono al tempo
stesso essere poste in evidenza le concrete possibilità di
miglioramento della qualità di vita, ottenibili nella
maggioranza degli emicranici.
Al paziente si richiede di riferire con attenzione frequenza,
durata e intensità delle crisi, per orientare la scelta del
farmaco di attacco e valutare se è indicata anche una terapia di
profilassi. Queste informazioni andrebbero verificate col
diario che inoltre, coinvolgendo il paziente nella gestione
della sua patologia, può rivestire un ruolo relazionale di
rilievo. Con questo semplice strumento e possibile evincere,
oltre a frequenza, durata e intensità, il numero di ore di
cefalea al mese; il tempo di raggiungimento dell'acme; l 'entità
dei sintomi di accompagnamento; l’ andamento in rapporto al
ciclo mestruale; il consumo di farmaci; eventuali fattori
scatenanti o aggravanti.
E' evidente come il paziente debba essere ben consapevole della
rilevanza, ai fini delle scelte diagnostico-terapeutiche, delle
informazioni che egli fornisce. Più in generate, il valore
dell’anamnesi tutta dipende da un lato dalla capacita del medico
di chiedere, tenendo conto del singolo paziente (età, sesso,
caratteristiche personologiche e culturali, tra gli altri
aspetti); dall'altro, dall'impegno con cui il paziente fornisce
le risposte.
Naturalmente, il coinvolgimento deve avvenire nel rispetto dei
ruoli: alcune opzioni potranno essere proposte al paziente e
scelte dallo stesso; su altre il medico sarà più direttivo,
procurando comunque di ottenere l' adesione convinta del
paziente. In questa prospettiva, vanno precisate le priorità del
singolo paziente: ad esempio, nelle crisi di emicrania con aura
spesso questi riferisce come invalidante non tanto la fase
algica, quanta l’ aura; a volte l’ attacco si accompagna a
sintomi vegetativi particolarmente marcati, che possono essere
talora addirittura più invalidanti del dolore cefalico.
L'importanza della anamnesi farmacologica deve essere
adeguatamente sottolineata: attendibilità dei dati riferiti;
utilità di esibire le prescrizioni precedenti se disponibili;
opportunità di conservare anche in futuro le prescrizioni. Dopo
queste premesse, vanno raccolte le esperienze del paziente
sull'efficacia/inefficacia/perdita di efficacia e sugli effetti
indesiderati del farmaci gia utilizzati in passato, in modo da
orientare appropriatamente la prescrizione anche sotto questo
aspetto. II consumo di farmaci deve essere sempre appurato, per
evidenziare una situazione, potenziale o in atto, di abuso che
oltre a possibili effetti indesiderati può indurre la
trasformazione dell' emicrania episodica in cronica e rendere
meno incisiva l' eventuale terapia di profilassi. La spiegazione
al riguardo deve prospettare i problemi inerenti ad un
comportamento che, venendo adottato per ottenere sollievo,
spesso non è percepito come negativo: il paziente va quindi
educato con motivazioni chiare e non con una disapprovazione
generica e controproducente.
Non sempre I'obiettivo della terapia di attacco ideale - rapido
ritorno del paziente alle attività abituali, con scomparsa del
dolore e dei sintomi vegetativi, senza effetti indesiderati nè
recidive - è ottenibile, nè in tutti i pazienti nè in tutte le
crisi. Analogamente, in caso di prescrizione di una terapia di
profilassi, va chiarito che la scelta, per quanto non casuale, è
sempre una prova ragionata, orientata dall'eventuale esperienza
farmacologica precedente, dagli effetti indesiderati dei diversi
farmaci e dalla presenza di comorbilità; e che la cura va
seguita a dosi adeguate per almeno due mesi, stante la lentezza
dell'azione farmacologica di profilassi. In assenza di
spiegazioni in tal senso, il paziente può sentirsi deluso e
interrompere il trattamento dopo breve tempo; o, peggio, può
ritenere non suscettibile di miglioramento la sua emicrania e
rinunciare a cercare una soluzione al problema.
Quindi, solo una corretta informazione permette di stabilire
una solida alleanza terapeutica per il raggiungimento del
risultato migliore, evitando di creare aspettative non
realistiche che potrebbero interrompere il rapporto
medico-paziente o ridurre la compliance. Pertanto, il paziente
deve essere informato sul razionale che guida la scelta
terapeutica, sull'appropriato uso dei farmaci e sui possibili
effetti indesiderati. In sostanza, il paziente deve sentire di
essere partecipe, tra l’altro utilizzando appropriatamente
l'apposito diario e imparando ad identificare ed evitare i
possibili fattori scatenanti, quali possono essere gli stress,
psichici o fisici; l'alimentazione irregolare; alcuni farmaci
dotati di azione vasodilatatrice, ad esempio i nitroderivati; le
alterazioni del ritmo sonno-veglia; il digiuno; e, se del caso,
determinati alimenti, in particolare formaggi fermentati,
alcolici, cioccolato; abituandosi a cercare durante l'attacco le
condizioni più favorevoli che evitino gli stimoli aggravanti e
facilitino la risoluzione della crisi, quali riposare in
ambiente tranquillo, al riparo dalla luce e dai rumori; cercare
di dormire; evitare di soggiornare in un ambiente eccessivamente
freddo o surriscaldato; provare semplici manovre che possono
arrecare sollievo, quali compressione, massaggio, applicazioni
calde o fredde.
Anche la coesistenza di altre patologie deve essere indagata
con attenzione perchè in grado di influenzare in modo
determinante non solo il vissuto doloroso del paziente, ma anche
le scelte terapeutiche - ad esempio, l'ipertensione arteriosa
non compensata e la cardiopatia ischemica controindicano l' uso
di triptani ed ergot-derivati. Da non trascurare anche i farmaci
eventualmente assunti per altre patologie, che possono
interferire con le terapie antiemicraniche o con gli attacchi,
favorendoli ad esempio nel caso di vasodilatatori, o
contrastandoli, ad esempio se vengono usati alcuni
antiipertensivi.
In ogni caso, va ribadito che il farmaco più appropriate deve
essere assunto a pieno dosaggio e il più precocemente possibile,
utilizzando formulazioni per via rettale, parenterale o nasale
negli attacchi resistenti alla terapia per os o che si
presentano con una importante componente vegetativa; in questi
casi si può consigliare la contemporanea assunzione di
antiemetici, anche per migliorare I' assorbimento gastrico del
farmaco.
E' inoltre conveniente prescrivere al paziente, all'interno di
uno schema razionale, alternative terapeutiche differenti per
la terapia di attacco, per ricercare quale sia la più efficace e
meno gravata da effetti indesiderati. L'andamento dell'emicrania
deve essere ovviamente monitorato nel tempo, nel quadro di un
programma condiviso con il paziente. Anche qui si rivela
utilissimo il diario per la cefalea, grazie al quale e possibile
valutare più attendibilmente, perchè documentate per un periodo
prolungato, le caratteristiche degli attacchi, tra cui il
rapporto con il ciclo mestruale o con il fine settimana; i
risultati ottenuti su dolore e sintomi di accompagnamento; le
variazioni del consumo di farmaci e l’eventuale aggiunta di
altre terapie. Con tale ausilio, si è in grado non solo di
valutare appropriatamente I 'efficacia dell'intervento, ma
spesso anche di acquisire informazioni mancanti all'anamnesi
iniziale e di correggere dati forniti dai paziente o
interpretati dal medico in maniera erronea.
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Il presente articolo è tratto
principalmente da:
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Headache: an historical outline. In: Handbook of Clinical
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ai quali si rimanda anche per la
bibliografia completa.