di Giacomo Visco, Specialista Ambulatoriale, Sorrrento,
ASL NA 3
giacomo.visco@tiscali.it
Questa storia inizia circa nel 5000 a.C., nel continente sud
americano, lungo il bacino dello Orinoco e del Rio delle
Amazzoni; qui, infatti, si crede che si sia sviluppata la
pianta del cacao, per poi diffondersi alle circostanti
regioni.
La pianta del cacao è un albero alto 5-10 metri, potendo
raggiungere altezza anche di 13-15 metri. Esso cresce ad una
altitudine di 600 metri e necessita, per prosperare, di un clima
tropicale, con temperature comprese tra 16 e 27 C°, con umidità
costante. Tali condizioni si realizzano in una area compresa tra
20° di latitudine nord e 20° di latitudine sud, rispetto
all’equatore. Gli alberi del cacao iniziano a produrre verso il
4° o 5° anno ( il massimo raccolto si realizza due volte l’anno)
e continuano a fruttificare generalmente fino a 30 e più anni.
Essi presentano larghe foglie lucide e lungo il fusto si possono
osservare numerose piccole infiorescenze dal colore bianco o
giallastro. Malgrado si possano contare, lungo la pianta, anche
diverse migliaia (fino a 100.000 circa) di infiorescenze, solo
poche decine di esse, una volta impollinate, da una sola specie
di moscerini, saranno in grado di fruttificare. In media
fruttificano solo 10-30 fiori per pianta; ciascuno di essi
formerà bacche o baccelli, detti cabosse, al cui interno
si osserva una polpa biancastra e dolce che avvolge 30-40 semi,
per ciascun baccello. Voglio ricordare che per produrre 2 Pound
di cacao (poco più di 900 grammi) sono necessari dai 20 ai 25
baccelli. Il guscio delle cabosse è molto duro e
resistente e solo alcune specie di animali, come le scimmie sono
in grado di romperlo per cibarsi della polpa dolciastra,
lasciando per terra i semi amari (che poi, concimando il terreno
potranno dare vita ad altri alberi del cacao).
È molto probabile che gli uomini primitivi abbiano, inizialmente
imitato gli animali, cibandosi della polpa dei baccelli; poi, in
qualche maniera, hanno potuto scoprire che i semi, una volta
fermentati, perdevano il loro gusto amaro e, dopo essiccazione,
potevano essere tostati e triturati finemente per dare una
polvere scura a cui poteva essere aggiunta acqua ed altre spezie
per diventare una bevanda nutritiva.
Gli Olmechi furono la prima popolazione civilizzata del
Mesoamerica, stabilendosi in una area corrispondente al Messico
centro-meridionale; la loro civiltà prosperò tra il 1400 ed il
400 a.C. e ad essa viene attribuita l’usanza del gioco della
“pelota” e dei sacrifici umani. Gli Olmechi diedero a questa
pianta il nome di “Kakawa”.
Fu, però, presso le popolazioni dei Maya e degli Aztechi che si
diffuse grandemente l’uso del cacao. I primi agricoltori di
cacao furono i Maya; questa antica civiltà, che si
è estinta per cause misteriose nel X secolo d.C., occupò la
parte meridionale dell’attuale Messico e della penisola dello
Yucatan; essi furono abili scienziati ed a loro viene attribuita
la creazione di un calendario basato su 18 mesi (Uinal),
ciascuno con 20 giorni (K’in), più un diciannovesimo mese detto
“Uaieb”, di 5 giorni, considerato nefasto e portatore di
sventure (non vi sembra suggestivo che nella lingua napoletana
la parola guaio, sventura, si pronunci: “uàie”?). I Maya
introdussero, inoltre, un sistema di numerazione vigesimale (da
1 a 20) ed una scrittura “logosillabica”, in cui ciascun
simbolo, o grafema,
poteva sia rappresentare una parola o comunque avere un
significato a sé stante, sia indicare foneticamente una sillaba.
Secondo una leggenda, il cacao sarebbe stato introdotto per
volontà del loro terzo re Hunahpu ed abitualmente veniva
consumato come bevanda calda. Gli Aztechi, popolazione di
origine settentrionale, occuparono tutto il centro-nord
dell’attuale Messico, fondando la città di Tenochtitlan,
l’odierna Città del Messico. Essi erano soliti a bere la
cioccolata fredda e nella loro lingua Nahuàtl, chiamavano il
cacao “cacahuatl” e la cioccolata “xoxocoatl”.
L'etimologia delle parole "cioccolato" e "cioccolata"
potrebbe derivare dall’accostamento di due termini di lingua
azteca: xoc, il rumore che la bevanda provoca quando
viene sbattuta per ottenere la schiuma e atle, l’acqua
che si aggiunge al cacao per ottenere la bevanda insieme a
spezie o peperoncino, mancando lo zucchero, sconosciuto agli
Aztechi. L'alimentazione azteca comprendeva cereali, fagioli,
chili e pomodori, che sono tuttora importante parte della dieta
Messicana. Inoltre, gli Aztechi pescavano gli Acocil, piccoli
crostacei che abbondavano nel lago Texcoco, nonché alghe
dalle quali ricavavano una sorta di torta. Tra gli alimenti
erano prominenti gli insetti, come grilli, vermi,
formiche, larve, utili per la loro abbondanza di proteine, e
ancora oggi considerati una prelibatezza in alcune parti del
Messico. In particolare, erano e sono tuttora oggetto di
allevamento, nel Lago Texcoco e in altri laghi salati, alcune
specie di cimici
acquatiche, note con il nome di axayácatl,
e le cui uova sono utilizzate per produrre l'ahuautle,
il ricercato "caviale messicano".
Gli Aztechi utilizzavano in modo estensivo l'Agave
americana, dalla quale ottenevano cibo, zucchero, nonché
fibre per corde e vestiti. Dalla pianta si ricavava infine il Pulque,
una bevanda fermentata con un contenuto alcolico paragonabile a
quello di una birra, e liquori quali Tequila e Mezcal che contiene all’interno un piccolo verme,
che deriva da una larva che vive nell’agave. Tali bevande
alcooliche erano riservate alla sola classe dei nobili e dei
sacerdoti; il resto della popolazione poteva bere solamente nel
corso delle cerimonie religiose (ciò era concesso anche ai
prigionieri prima di essere sacrificati). Ubriacarsi prima dei
60 anni era comunque proibito; per le prime violazioni vi era
una certa tolleranza, ma l'ubriachezza ripetuta era punibile con
la morte.
La stessa cioccolata era una bevanda riservata a nobili,
sacerdoti e guerrieri. Questa meravigliosa bevanda era usata
anche in cerimonie religiose, venendo accostata alla divinità
Xochiquetzal, o Ichpuchtli, che, secondo la mitologia
azteca è il nome della dea dei fiori, della fertilità, dei
giochi, della danza e dell'agricoltura, oltre che degli
artigiani, delle prostitute e delle donne incinte. Secondo la
tradizione l’imperatore Moctezuma II beveva fino a 50 tazze di
cioccolata al giorno ed una, sempre, prima di accedere alla
stanza di una delle sue favorite. Questi sono esempi della
tradizionale potenza afrodisiaca della cioccolata, che verrà poi
confermata, nei secoli successivi, da famosi personaggi quali,
tra gli altri, Jeanne Antoinette Poisson, Marchesa di Pompadour,
Marie-Jeanne Bécu, contessa Du Barry e Giacomo Casanova.
In relazione alla loro esigua disponibilità ed alla importanza e
valore del loro prodotto, i semi del cacao erano usati anche
come moneta, un vero e proprio "oro nero"; naturalmente
più grossi erano i semi più valore essi avevano: così, ad
esempio, per l'acquisto di un tacchino o di uno schiavo
occorrevano circa 100 semi grossi; mentre una dozzina erano
necessari per guadagnarsi la compagnia di una prostituta e 10
per l’acquisto di un coniglio. Ai semi più piccoli spettava
invece una funzione più propriamente gastronomica o anche
farmaceutica: gli Aztechi se ne servivano come ricostituenti
oppure li utilizzavano per risanare le piaghe.
La data ufficiale della "scoperta del cacao" è il 30
luglio 1502, giorno in cui gli Aztechi, andati incontro alla
Santa Maria offrirono a Cristoforo Colombo, durante un suo
quarto e ultimo viaggio alla ricerca dell'oro, oltre a tessuti e
cuoio lavorato, anche la loro moneta, cioè i semi di cacao. Alla
storia del cacao e della conquista delle Americhe è legata anche
la leggenda del dio Quetzacoàltl (Kukulkan in Maya) che
letteralmente significa serpente con piume di Quetzal. La
mitologia narra che il Dio possedesse un immenso tesoro composto
da tutte le ricchezze del mondo, oro e argento, pietre verdi
chiamate chalchiuitl ed altri oggetti preziosi, come una grande
abbondanza di alberi di cacao di diversi colori. La leggenda
narra che, quando Quetzalcoàtl era ancora un re, a causa di una
grave malattia che lo aveva colpito, venne spinto a bere una
pozione che anziché guarirlo lo portò alla pazzia: egli fuggì
allora verso il mare su una zattera di serpenti intrecciati.
Nel fare ciò Quetzalcoàtl promise che avrebbe fatto ritorno per
riprendersi il suo regno nell’anno posto sotto il segno del “Ce-acatl”.
Secoli più tardi, nel 1519, anno sotto il segno del “Ce-acatl”,
una grande nave carica di uomini con scintillanti armature come
scaglie di serpente ed elmetti piumati, fece la sua comparsa
vicino alla costa orientale del regno azteco. Immediatamente
l’imperatore Montezuma credette alla profezia, pensando che lo
spagnolo fosse la reincarnazione del “Serpente piumato” ed
accolse pacificamente quella nave pronto a restituire il regno
al Dio Quetzalcoàtl (che nella tradizione era bianco ed aveva
una fluente barba). Fu così che Hernàn Cortès ed i suoi uomini
furono accolti con grande sfarzo e vennero offerti molti doni
quali oro, argento, pietre preziose, schiave e… cesti pieni di
semi di cacao, accompagnandoli con coppe di oro piene di
cioccolata offerta da bere.
Solo alcuni anni dopo gli europei avranno modo di apprezzare
questo cibo divino; così infatti nel 1753, Carl Linnaeus
(1707-1778) chiamò la pianta del cacao : “Theobroma cacao
linn”, a conferma della bontà del suo frutto (“ϑεός”
«dio» , “βρῶμα”
«cibo»). Furono i monaci spagnoli, grandi esperti di miscele e
infusi, a sostituire il pepe e il peperoncino con lo zucchero e
la vaniglia creando una bevanda dolce e gustosa; ai monaci
spagnoli va anche il merito di aver sottolineato l’alto potere
nutrizionale del cioccolato. In Toscana si cominciarono ad
aggiungere alcuni particolari ingredienti: le scorze fresche di
cedrata e limoncello, aromi di gelsomino, cannella, ambra e
muschio. Protagonista indiscussa era la cioccolata al
gelsomino del Granduca Cosimo III dei Medici, inventata nel
Seicento dallo scienziato Francesco Redi e da considerare come
il primo vero esperimento di ingegneria botanico-culinaria. La
sua preparazione, infatti, era stata descritta in una ricetta
che elencava in dettaglio ingredienti, dosi e procedimento, ma
proprio per tale motivo divenuta un vero e proprio segreto di
stato tanto che poteva essere gustata solo alla corte del
granduca.
Un secolo dopo, nell’Inghilterra del ‘700, i Quaccheri detenevano
il primato di maestri cioccolatai: osteggiati in tutti i lavori
tradizionali, trovarono in quel nuovo mestiere il loro lucroso
rifugio. Inoltre, consideravano il cioccolato una valida
alternativa all’alcool e, per sanare la piaga dell’alcolismo,
crearono e diffusero in tutto il paese le “Sale da cacao”,
antagoniste delle peccaminose birrerie. L’elenco di personaggi
famosi “affezionati” al cacao potrebbe continuare ancora per
molte pagine per arrivare ai maestri cioccolatieri olandesi (Van
Houten) e svizzeri ( soprattutto Daniel Peter e Rudolph Lindt),
ciascuno dei quali ha avuto meriti fondamentali per migliorare
la qualità del cacao e della cioccolata.
Resta ora da affrontare il problema se questo cibo divino debba
essere considerato una potenziale “noxa” ovvero un “remedium”.
Certamente siamo a conoscenza del fatto che tra i vari
potenziali “triggers” della crisi emicranica, in particolare tra
quelli alimentari, la cioccolata può essere uno importante e
piuttosto frequente.
Qui riporto un parziale elenco di “triggers” alimentari:
·
Formaggi piccanti o stagionati,
·
Salumi (hot dog, pancetta, prosciutto e salame)
·
Agrumi
·
Grassi o fritti
·
Cioccolato, noci
·
Glutammato monosodico
·
Coloranti, additivi
·
Aringhe marinate, fegatini di pollo
·
Gelato
·
Yogurt, panna acida
·
Carne ed estratti vegetali
·
Carne di maiale e frutti di mare
·
Fichi in scatola, fagioli, pomodori
·
Astinenza di bevande che contengono caffeina (caffè, tè, tutte
le "Cola" soft drink)
·
Bevande alcoliche (vino rosso, birra)
·
Aspartame, nitriti, solfiti.
Qualcuno ha asserito che la cioccolata rappresenta la
conciliazione degli opposti, perché è :
Ø
sia solida che liquida,
Ø
chiara e scura ,
Ø
dolce e amara,
Ø
bisessuale (''cioccolata'', una bevanda calda, ''cioccolato'‘,
tavoletta fredda e dura).
“Il cacao merita sicuramente il nome di teobroma (cibo degli
Dei)!E’ cibo e bevanda, è conforto al ventricolo e sferza il
cervello: eccital’intelligenza e nutre
riccamente. Conviene ai vecchi e ai giovani, ai
deboli e alle persone prostate da lunghe malattie. Per chi
lavora, il cacao offre un eccellente cibo mattutino”. Scriveva nell’800 Paolo Mantegazza, fisiologo, antropologo,
patriota e uomo politico italiano, anticipando gli effetti di
questa sostanza su cuore e cervello, pur senza conoscerne
appieno i componenti.
Dunque ritengo giusto considerare anche gli aspetti positivi di
questo importante nutriente che contiene quasi 380 componenti
chimici. Analizziamo alcuni di essi:
1.I Flavonoidi e i lipidi d’origine vegetale
(rappresentati dall’acido stearico, palmitico ed oleico,
presenti nel burro di cacao) esplicano una importante azione
antiossidante ed ipocolesterolemizzante
2.Alcuni suoi componenti esercitano una importante
azione protettiva sui denti; il Fluoro è un
importante costituente dello smalto, i Fosfati
bloccano gli acidi formati dal metabolismo degli zuccheri, i
Tannini contenenti il 6% di polidrossifenolo
inibiscono lo sviluppo di batteri
3. Il Triptofano che è un amminoacido essenziale
ed è fondamentale nella produzione della Vitamina B3,
Niacina, e del neurotrasmettitore serotonina
4.La Teobromina e la Caffeina; fanno
parte della classe delle methylxanthine, come la la
teofillina; tra le due la Teobromina è l’alcaloide
principale del cacao (in molta minor misura è presente la
caffeina: in effetti un grammo intero di cioccolato al latte
non contiene più caffeina di una tazza di caffè tipico
"decaffeinato") ed è presente anche nel tè e nel guaranà. La
Teobromina ha un sapore amaro che è responsabile del gusto
tipico del cacao; ha effetto stimolante, antiartmico,
ipotensivo, antiasma, vasodilatatore (afrodisiaco?).
Attenzione a non dare la cioccolata ai nostri cani: in essi
(come nei cavalli) può determinare effetti tossici molto
pericolosi, quali aritmie cardiache e crisi epilettiche
5.La Phenylethylamina -
PEA
, definita anche anfetamina endogena , è una sostanza
amfetaminosimile in grado di favorire il rilascio di
Noradrenalina e Dopamina (quest’ultima in particolare nei
centri del “reward” mesolimbico), con potenziale effetto di
migliorare memoria e tono dell’umore; essa viene
catabolizzata da Mono Amine Oxidasi type-b (=
phenylethylaminasi); viceversa IMAO-b, quali Selegilina e
Rasagilina sono in grado di prolungare l’azione benefica del
PEA nella cioccolata
6.Il
Tetrahydrocannabinolo (THC) invece non è
significativamente presente nella cioccolata e questo
dimostra come non si possa diventare “abusers” farmacologici
dalla cioccolata
7.L’Anandamide letteralmente deriva da Ananda (
parola che in sanscrito significa “divina beatitudine”) e
Amide; essa è una amide che fa parte della categoria degli
Endocannabinoidi (questi si giustappongono agli
Esocannabinoidi o Fitocannabinoidi, esogeni, di origine
vegetale); tali sostanze interagiscono con recettori di due
tipi CB1 (soprattutto distribuiti nel cervello ed in alcuni
organi interni) e CB2 (sulle linfocellule T del sistema
immunitario e nel SNC, con azione anti-infiammatoria e
immunomodulatrice. Le funzioni degli Endocannabinoidi sono
tuttora oggetto di studio, ma probabilmente sono molteplici
ed inerenti a meccanismi quali: regolazione dei circuiti
cerebrali del vomito, modulazione dell'appetito e della
spasticità (sclerosi multipla), attività analgesica,
intervento in processi che regolano la memoria, azione
anticonvulsivante, vasodilatante e ipotensiva, regolazione
dei processi riproduttivi, modulazione della risposta
immunitaria, azione anti-ossidativa , funzione
"anti-stress" simile alle endorfine, regolazione dei
processi di proliferazione cellulare (tumori)
8.L’ N-oleolethanolamina and N-linoleoylethanolamina
rappresentano composti strettamente imparentati con l’Anandamide,
essendo in grado di prolungarne gli effetti, rallentandone
il metabolismo.
A conclusione voglio ricordare con ammirazione le parole di un
grande ricercatore di conoscenza, quale fu Alexander von
Humboldt (1769-1859), che pur mancando delle attuali nozioni,
scrisse :
“In nessun altro posto la natura ha stipato la più importante
quantità di sostanze nutritive in un posto così piccolo come ha
fatto con il seme del cacao”.