Le cause dell’epilessia secondo la cultura popolare. Perplessa e sgomenta sembra arrestarsi la medicina popolare di
fronte alla malattia dell'epilessia. Un male che, per essa,
appare arcano, inspiegabile, deciso da una volontà superiore:
tra i tanti suoi nomi vi è, infatti, quello, spiazzante, di “mal
di Luna”. La cultura delle classi subalterne attribuisce
l'origine di tale male essenzialmente a due motivi. Uno, sul
piano "fisiologico", risalente al costume, tipicamente arcaico,
di contrarre matrimonio fra consanguinei, “che
non fa sangue” e dunque
determina il concepimento di un bambino epilettico.
Collegata a questa è un’altra
credenza popolare, per la quale molto stretto è il rapporto tra le condizioni
psico-fisiche dei genitori e la presenza di casi di epilessia
nella prole: le testimonianze raccolte hanno dimostrato come si
ritenga comunemente che a tale rischio siano soggetti
soprattutto i figli di alcolizzati.
L'altro motivo, dispiegantesi
sul piano del "mondo magico", risale alla credenza secondo cui
chi fosse nato nella notte del 24 dicembre avrebbe contratto il
terribile male. Nessun essere umano può venire al mondo nello
stesso, preciso momento del Cristo; ma, se ciò dovesse accadere,
questa nascita (in un certo senso voluta, perché il concepimento
non dovrebbe mai aver luogo alla mezzanotte dell’Annunziata,
cioè esattamente nove mesi prima) sarebbe carica di una potenza
talmente negativa che al neonato toccherebbe in sorte una vita
sicuramente “diversa” e tormentata.
I rimedi della medicina popolare. Le classi subalterne hanno
elaborato nel tempo vari rimedi contro l’epilessia.Uno di essi, comune a quasi
tutte le regioni meridionali, è quello di provocare la
fuoriuscita di una certa quantità di sangue dal malato al
momento stesso delle prime manifestazioni convulsive. Questa
emissione provocata di sangue “guastato” libererebbe
definitivamente l’infermo, purché prodotta per mezzo di un
oggetto di ferro, metallo ritenuto in possesso di singolari
virtù apotropaiche. Nel
Sannio beneventano la quantità di
sangue era precedentemente fissata, dal momento che si
consigliava di “punzecchiare l’ammalato durante le convulsioni
in modo da cacciargli un mezzo rotolo di sangue”. Certamente più
drastica la cura profilattica in uso nell’
Italia centrale verso la fine dell’Ottocento e così riferita dallo Zanetti: “In
località più lontane dai centri e specialmente montuose, a
prevenire l’epilessia, si conserva il barbaro uso di bollare i
bambini e gli adulti sulla cervice, mediante un ferro infuocato
avente forma di un ferro di cavallo, e ciò in onore di San
Domenico da Cucullo, il quale si dice che guarisse gli
epilettici con questo mezzo.
La vita e i miracoli di San Donato, protettore degli epilettici. Siamo entrati così nei rimedi para-liturgici. Ma, più che San
Domenico, vi è un altro Santo, ritenuto capace di guarire gli
epilettici: è San Donato, che, vissuto nel IV sec. d.C.,
originario di Nicomeda ed emigrato poi a Roma, si trovò nel
clima delle feroci persecuzioni scatenate contro i Cristiani.
In
tale contesto di violenze e di sangue, Donato opera vari
prodigi. Uno è quello della liberazione dal demonio di Asterio,
figlio del prefetto di Arezzo. Con l'altro riesce a ricomporre
un calice di vetro, che è stato frantumato dai pagani, e lo
rimette in uso, anche se è mancante del fondo, che è stato
portato via dal Diavolo. La vita del Santo, ordinato poi
Vescovo, si conclude con il martirio per decapitazione, avvenuto
il 7 agosto, data scelta poi dalla Chiesa per la sua festa.
Ben presto il Santo diviene il
protettore degli epilettici. Perché? I motivi potrebbero essere
vari. Innanzitutto, proprio il tipo di martirio: come Donato
perse la testa per decapitazione, così guarisce tutti coloro
che
perdono la testa per l'epilessia. In secondo luogo,
potrebbe essere indicativo anche il miracolo del calice: come
Donato miracolosamente ha
ricostruito l'integrità di un
oggetto sacro infranto, che per il suo simbolismo e per la sua
forma cava richiama quella di un corpo contenente sangue (quello
del Cristo, nella fattispecie), così egli è capace
taumaturgicamente di
ricostruire l'integrità di un corpo
infranto nel suo equilibrio. In terzo luogo, non va
sottovalutato un particolare del martirio, riportato dalla fonte
succitata, che ricorda come, prima della morte, il Vescovo fu
colpito alla bocca con un sasso, che gli procurò la fuoriuscita
di molto sangue. Potrebbe essere non del tutto slegata da tale
evento l'abitudine succitata di provocare all'epilettico la
fuoriuscita di sangue.
Il culto di San Donato, quale
protettore contro il "mal caduco", si diffonde in tutta la
Penisola, tra il VI e il VII sec., in modo particolare in
Campania, anche se il Martire è Patrono della città di Arezzo.
Il culto nella capitale dell'Italia Meridionale è innanzitutto
attestato a
Napoli nell'antica Chiesa dei SS. Marcellino
e Festo, dove fino al 1627 vi era un'edicola votiva sacra a San
Donato. In essa figura ancora una serie di affreschi che
rappresentano episodi della vita del Santo e, in particolare,
quelli della resurrezione di un defunto e della liberazione di
un epilettico.
Una fonte scritta, che documenta
il radicamento del culto di San Donato come taumaturgo del "mal
caduco" e che riferisce anche le pratiche para-liturgiche contro
gli accessi del male, è il
De vita et cultu Sancti Donati
Arretinae Ecclesiae Episcopi et Martyrii Commentarius, opera
di Agostino Albergotti risalente al 1782. Da essa emerge
chiaramente che il culto di San Donato nella Chiesa napoletana
dei SS. Marcellino e Festo era antichissimo. Esso si
caratterizzava per un rito molto singolare:"Venivano benedetti e sospesi su un piatto di bilancia i fanciulli
epilettici, i cui genitori offrivano al Santo una quantità di
pane corrispondente al loro peso". Si tratta del rito della
pesatura. "Veniva benedetta dell'acqua immergendo in essa le reliquie del Santo e
poi distribuita a tutti quelli che la chiedevano: spesso
determinava effetti miracolosi".
Il rito della pesatura in onore di San Donato nel Salernitano e nel
Beneventano. Tale rito è stato ampiamente praticato in
Campania soprattutto nelle città di
Contursi, in
provincia di Salerno e di
Pago Veiano, in provincia di
Benevento (si verifica ancora a Ripacandida in provincia di
Potenza e a Rotello in provincia di Campobasso).
A
Contursi il centro del
culto di San Donato, che raggiunge il suo apice nel giorno
dedicato al Santo (7 agosto), è costituito dalla Chiesa di Santa
Maria degli Angeli. Qui convengono molti fedeli dalle vicine
località di Quaglietta, Calabritto e Oliveto Citra. Oltre
all'abitudine da parte del devoto guarito di lasciare a San
Donato come
ex-voto gli abiti, si svolgeva il rito della
"pesatura". Nella Chiesa esiste ancora la grande bilancia di
legno, sulla quale si pesava il fanciullo, spesso anche solo per
scongiurare il sopraggiungere del "mal caduco". L'
equilibrio dei piatti, ottenuto ponendo dall'altra parte una quantità di
grano equivalente al peso del bambini, traduce visivamente l'
equilibrio fisico-mentale che il Santo ha voluto elargire al suo devoto,
così come egli volle in vita riportare un
equilibrio
materiale ricomponendo il calice frantumato.
L'altro centro del culto di San Donato è
Pago Veiano, di
cui il Martire è protettore. A lui è consacrata una Chiesa, la
cui costruzione risale al 1759: in essa vi sono la bilancia per
il rito della “pesatura” ed una statua lignea del Santo, che si
richiama alla Scuola napoletana del XVIII sec. Significativa è,
in quest’opera, la presenza di una Luna fra gli attributi del
Santo. Non si dimentichi che il satellite della Terra, proprio
per la sua tendenza a
nascondersi, è vista come colei che
ha maggiori attinenze con il mondo delle forze occulte e
"nascoste" che possono danneggiare l'equilibrio fisico-mentale
dell'Uomo.
La Luna è anche l'elemento
costitutivo di un "complesso culturale", che la vede in unione
con il Sangue e il Parto (due dati emblematici, come si è detto,
della concezione popolare dell'epilessia). Si ricordino almeno
due credenze tipiche del folklore meridionale: quella secondo
cui il vino, variante del sangue, deve essere travasato con la
luna "calante" (in modo che "cali" il "male" del vino) e l'altra
secondo cui l'esposizione ai raggi della Luna determina la
nascita di un maschio.
Molti di questi elementi
ritornano nella novena celebrata a Pago Veiano in onore del
Santo e pubblicata a cura del Parroco Ugo Della Camera. Il testo
sottolinea la protezione del Martire nei confronti
dell'epilessia, esplicitamente indicata in esso come il
mal
di luna (ma anche di altre malattie, quali il vaiolo e il
colera). La stessa scansione delle preghiere per ciascuna
giornata è strutturata come un continuo raccordo fra la
vita-martirio di Donato e la vita di sofferenze dell'Uomo (di
cui l'epilettico è l'emblema), che sperimenta il
rischio
dell'esistere.
La necessità di una
prospettiva antropologica. Oggi l’epilessia è, giustamente,
affidata alle cure ormai avanzate della medicina; ma ciò non
significa che la partita sia chiusa. Perché questa malattia,
così delicata, così anomala, così poco conosciuta dalla gente
comune, pone il problema della necessità che la medicina superi
l’insoddisfazione che talvolta si percepisce intorno ad essa:
non è infrequente, infatti, l’accusa di disumanizzazione.
Inoltre la specializzazione della medicina, che pure è il segno
tangibile del grande progresso contemporaneo delle conoscenze
scientifiche, spesso circoscrive un solo aspetto del corpo
umano e lo considera come indipendente e isolato dal sistema del
tutto. Resta, invece, da vedere se un’ottica individualizzante
possa ancora considerarsi efficace. Il medico e la medicina
ufficiale tendono a considerare il corpo come un’entità a sé
stante, distinta dalla psiche, talvolta non preoccupandosi del
fatto che la fiducia nella guarigione da parte del paziente è di
valore fondamentale.
Il paziente, dal canto suo, non è interessato alla pura e
semplice diagnosi, ma alla prognosi che riguarda il suo destino,
il suo futuro, la sua convivenza con la malattia e la sua
battaglia contro di essa. I terapeuti che agiscono in nome
dell’unità del rapporto fra psiche e soma, tra corpo e mente,
riprendono il grande segreto della medicina popolare, pur nella
necessaria scientificità di cui la medicina odierna si avvale.
Il paziente, in tal modo, vive in positivo il carisma del
guaritore, il quale, oltre che operare una prestazione
scientifica, riesce a creare in lui la speranza, la fiducia, la
fede nella guarigione.