L’epilessia nelle tradizioni popolari campane:
alla ricerca dell’equilibrio perduto

Epilepsy in popular traditions of Campania:
searching for the lost  balance

 

Franco Salerno, Docente di Linguaggio giornalistico, Università di Salerno

fsalerno2@alice.it


Le cause dell’epilessia secondo la cultura popolare.
Perplessa e sgomenta sembra arrestarsi la medicina popolare di fronte alla malattia dell'epilessia. Un male che, per essa, appare arcano, inspiegabile, deciso da una volontà superiore: tra i tanti suoi nomi vi è, infatti, quello, spiazzante, di “mal di Luna”. La cultura delle classi subalterne attribuisce l'origine di tale male essenzialmente a due motivi. Uno, sul piano "fisiologico", risalente al costume, tipicamente arcaico, di contrarre matrimonio fra consanguinei, “che non fa sangue” e dunque determina il concepimento di un bambino epilettico.

Collegata a questa è un’altra credenza popolare, per la quale molto stretto è il
rapporto tra le condizioni psico-fisiche dei genitori e la presenza di casi di epilessia nella prole: le testimonianze raccolte hanno dimostrato come si ritenga comunemente che a tale rischio siano soggetti soprattutto i figli di alcolizzati.

L'altro motivo, dispiegantesi sul piano del "mondo magico", risale alla credenza secondo cui chi fosse nato nella notte del 24 dicembre avrebbe contratto il terribile male. Nessun essere umano può venire al mondo nello stesso, preciso momento del Cristo; ma, se ciò dovesse accadere, questa nascita (in un certo senso voluta, perché il concepimento non dovrebbe mai aver luogo alla mezzanotte dell’Annunziata, cioè esattamente nove mesi prima) sarebbe carica di una potenza talmente negativa che al neonato toccherebbe in sorte una vita sicuramente “diversa” e tormentata.


I rimedi della medicina popolare. Le classi subalterne hanno elaborato nel tempo vari rimedi contro l’epilessia.Uno di essi, comune a quasi tutte le regioni meridionali, è quello di provocare la fuoriuscita di una certa quantità di sangue dal malato al momento stesso delle prime manifestazioni convulsive. Questa emissione provocata di sangue “guastato” libererebbe definitivamente l’infermo, purché prodotta per mezzo di un oggetto di ferro, metallo ritenuto in possesso di singolari virtù apotropaiche. Nel Sannio beneventano la quantità di sangue era precedentemente fissata, dal momento che si consigliava di “punzecchiare l’ammalato durante le convulsioni in modo da cacciargli un mezzo rotolo di sangue”. Certamente più drastica la cura profilattica in uso nell’Italia centrale verso la fine dell’Ottocento e così riferita dallo Zanetti: “In località più lontane dai centri e specialmente montuose, a prevenire l’epilessia, si conserva il barbaro uso di bollare i bambini e gli adulti sulla cervice, mediante un ferro infuocato avente forma di un ferro di cavallo, e ciò in onore di San Domenico da Cucullo, il quale si dice che guarisse gli epilettici con questo mezzo.


La vita e i miracoli di San Donato, protettore degli epilettici.
Siamo entrati così nei rimedi para-liturgici. Ma, più che San Domenico, vi è un altro Santo, ritenuto capace di guarire gli epilettici: è San Donato, che, vissuto nel IV sec. d.C., originario di Nicomeda ed emigrato poi a Roma, si trovò nel clima delle feroci persecuzioni scatenate contro i Cristiani.



In tale contesto di violenze e di sangue, Donato opera vari prodigi. Uno è quello della liberazione dal demonio di Asterio, figlio del prefetto di Arezzo. Con l'altro riesce  a ricomporre un calice di vetro, che è stato frantumato dai pagani, e lo rimette in uso, anche se è mancante del fondo, che è stato portato via dal Diavolo. La vita del Santo, ordinato poi Vescovo, si conclude con il martirio per decapitazione, avvenuto il 7 agosto, data scelta poi dalla Chiesa per la sua festa.     

Ben presto il Santo diviene il protettore degli epilettici. Perché? I motivi potrebbero essere vari. Innanzitutto, proprio il tipo di martirio: come Donato perse la testa per decapitazione, così guarisce tutti coloro che perdono la testa per l'epilessia. In secondo luogo, potrebbe essere indicativo anche il miracolo del calice: come Donato miracolosamente ha ricostruito l'integrità di un oggetto sacro infranto, che per il suo simbolismo e per la sua forma cava richiama quella di un corpo contenente sangue (quello del Cristo, nella fattispecie), così egli è capace taumaturgicamente di ricostruire l'integrità di un corpo infranto nel suo equilibrio. In terzo luogo, non va sottovalutato un particolare del martirio, riportato dalla fonte succitata, che ricorda come, prima della morte, il Vescovo fu colpito alla bocca con un sasso, che gli procurò la fuoriuscita di molto sangue. Potrebbe essere non del tutto slegata da tale evento l'abitudine succitata di provocare all'epilettico la fuoriuscita di sangue. 

Il culto di San Donato, quale protettore contro il "mal caduco", si diffonde in tutta la Penisola, tra il VI e il VII sec., in modo particolare in Campania, anche se il Martire è Patrono della città di Arezzo. Il culto nella capitale dell'Italia Meridionale è innanzitutto attestato a Napoli nell'antica Chiesa dei SS. Marcellino e Festo, dove fino al 1627 vi era un'edicola votiva sacra a San Donato. In essa figura ancora una serie di affreschi che rappresentano episodi della vita del Santo e, in particolare, quelli della resurrezione di un defunto e della liberazione di un epilettico.

Una fonte scritta, che documenta il radicamento del culto di San Donato come taumaturgo del "mal caduco" e che riferisce anche le pratiche para-liturgiche contro gli accessi del male, è il De vita et cultu Sancti Donati Arretinae Ecclesiae Episcopi et Martyrii Commentarius, opera di Agostino Albergotti risalente al 1782. Da essa emerge chiaramente che il culto  di San Donato  nella Chiesa napoletana dei SS. Marcellino e Festo era antichissimo. Esso si caratterizzava per un rito molto singolare:"Venivano benedetti e sospesi su un piatto di bilancia i fanciulli epilettici, i cui genitori offrivano al Santo una quantità di pane corrispondente al loro peso". Si tratta del rito della pesatura. "Veniva benedetta dell'acqua immergendo in essa le reliquie del Santo e poi distribuita a tutti quelli che la chiedevano: spesso determinava effetti miracolosi".

Il rito della pesatura in onore di San Donato nel Salernitano e nel Beneventano.
Tale rito è stato ampiamente praticato in Campania soprattutto nelle città di Contursi, in provincia di Salerno e di Pago Veiano, in provincia di Benevento (si verifica ancora a Ripacandida in provincia di Potenza e a Rotello in provincia di Campobasso).

A Contursi il centro del culto di San Donato, che raggiunge il suo apice nel giorno dedicato al Santo (7 agosto), è costituito dalla Chiesa di Santa Maria degli Angeli. Qui convengono molti fedeli dalle vicine località di Quaglietta, Calabritto e Oliveto Citra. Oltre all'abitudine da parte del devoto guarito di lasciare a San Donato come ex-voto gli abiti, si svolgeva il rito della "pesatura". Nella Chiesa esiste ancora la grande bilancia di legno, sulla quale si pesava il fanciullo, spesso anche solo per scongiurare il sopraggiungere del "mal caduco". L'equilibrio dei piatti, ottenuto ponendo dall'altra parte una quantità di grano equivalente al peso del bambini, traduce visivamente l'equilibrio fisico-mentale che il Santo ha voluto elargire al suo devoto, così come  egli volle in vita riportare un equilibrio materiale ricomponendo il calice frantumato.

L'altro centro del culto di San Donato è Pago Veiano, di cui il Martire è protettore. A lui è consacrata una Chiesa, la cui costruzione risale al 1759: in essa vi sono la bilancia per il rito della “pesatura” ed una statua lignea del Santo, che si richiama alla Scuola napoletana del XVIII sec. Significativa è, in quest’opera, la presenza di una Luna fra gli attributi del Santo. Non si dimentichi che il satellite della Terra, proprio per la sua tendenza a nascondersi, è vista come colei che ha maggiori attinenze con il mondo delle forze occulte e "nascoste" che possono danneggiare l'equilibrio fisico-mentale dell'Uomo.

La Luna è anche l'elemento costitutivo di un "complesso culturale", che la vede in unione con il Sangue e il Parto (due dati emblematici, come si è detto, della concezione popolare dell'epilessia). Si ricordino almeno due credenze tipiche del folklore meridionale: quella secondo cui il vino, variante del sangue, deve essere travasato con la luna "calante" (in modo che "cali" il "male" del vino) e l'altra secondo cui l'esposizione ai raggi della Luna determina la nascita di un maschio.

Molti di questi elementi ritornano nella novena celebrata a Pago Veiano in onore del Santo e pubblicata a cura del Parroco Ugo Della Camera. Il testo sottolinea la protezione del Martire nei confronti dell'epilessia, esplicitamente indicata in esso come il mal di luna (ma anche di altre malattie, quali il vaiolo e il colera). La stessa scansione delle preghiere per ciascuna giornata è strutturata come un continuo raccordo fra la vita-martirio di Donato e la vita di sofferenze dell'Uomo (di cui l'epilettico è l'emblema), che sperimenta il rischio dell'esistere.

La necessità di una prospettiva antropologica.
Oggi l’epilessia è, giustamente, affidata alle cure ormai avanzate della medicina; ma ciò non significa che la partita sia chiusa. Perché questa malattia, così delicata, così anomala, così poco conosciuta dalla gente comune, pone il problema della necessità che la medicina superi l’insoddisfazione che talvolta si percepisce intorno ad essa: non è infrequente, infatti, l’accusa di disumanizzazione. Inoltre la specializzazione della medicina, che pure è il segno tangibile del grande progresso contemporaneo delle conoscenze scientifiche,  spesso circoscrive un solo aspetto del corpo umano e lo considera come indipendente e isolato dal sistema del tutto. Resta, invece, da vedere se un’ottica individualizzante possa ancora considerarsi efficace. Il medico e la medicina ufficiale tendono a considerare il corpo come un’entità a sé stante, distinta dalla psiche, talvolta non preoccupandosi del fatto che la fiducia nella guarigione da parte del paziente è di valore fondamentale.

Il paziente, dal canto suo, non è interessato alla pura e semplice diagnosi, ma alla prognosi che riguarda il suo destino, il suo futuro, la sua convivenza con la malattia e la sua battaglia contro di essa. I terapeuti che agiscono in nome dell’unità del rapporto fra psiche e soma, tra corpo e mente, riprendono il grande segreto della medicina popolare, pur nella necessaria scientificità di cui la medicina odierna si avvale. Il paziente, in tal modo, vive in positivo il carisma del guaritore, il quale, oltre che operare una prestazione scientifica, riesce a creare in lui la speranza, la fiducia, la fede nella guarigione.



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