PULCINELLA UNO, NESSUNO
E CENTOMILA


di Franco Salerno*


Il mistero di Pulcinella: un’identità plurima. In Inghilterra lo chiamano Punch, in Spagna Don Cristobal, in Turchia Karaghoz, in Russia Petruska, in Francia Polichinelle. Chi è questa creatura dai mille nomi e dalle mille identità? E’ Pulcinella, la maschera più famosa nel mondo: così la chiamiamo in Italia e, soprattutto, in Campania.

 

 

Il suo identikit resta un mistero: Pulcinella è stolto eppure prende in giro gli altri, è ingenuo eppure sa sempre come cavarsela, ha il colore bianco e quello nero sul suo volto e nel suo abbigliamento, rischia la morte per fame e persecuzione ma è sempre lì, vivo e vegeto, alimentato da mille e una vita. Insomma, Pulcinella è filosoficamente tutto e niente: nessuna terra è per lui incognita, tutto egli è pronto a fare e a pensare.

 

Lo disse anche Benedetto Croce: “Chi si ostina a dare la definizione di Pulcinella o prende una sola di quelle rappresentazioni e arbitrariamente la innalza a canone o, cercando il comune tra il particolare, il costante tra il vario, c'è il rischio che non gli resti in mano altro che un nome e un vestito”.

 

 

Eppure, noi proveremo, pur entro i dedali di una vicenda tra mito e storia, tra immaginazione e realtà, a delineare almeno un minimo di verità sull’enigma di questo personaggio. La maschera di Pulcinella è stata lanciata ufficialmente dall'attore Silvio Fiorillo con la sua commedia La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Policinella, scritta nel 1609, ma pubblicata soltanto nel 1632 dopo la morte dell'autore. Pulcinella dopo Silvio Fiorillo divenne una vera e propria star della Commedia dell’arte, configurandosi come l'antagonista di Arlecchino, il servo sciocco per antonomasia.

 

 

Tre, tra i tanti, sono stati i grandi interpreti di Pulcinella. Il primo fu Andrea Calcese, che indossò lamaschera per la prima volta nel 1618 e sancì la recitazione tipicamente pulcinellesca, consistente nell'inventare continuamente battute e giochi di parole sulla scena. Il secondo fu Michelangelo Fracanzani, che nel 1685 inventò, per il pubblico parigino, il personaggio di Polichinelle.

 

 

Il terzo, Antonio Petito, fu il più famoso Pulcinella dell'Ottocento e di tutti i tempi, perché coniugava mirabilmente mimica, ironia e critica sociale.

 

 

Una creatura di soglia e di frontiera. Alcuni studiosi hanno sottolineato il carattere archetipale di Pulcinella. Ad esempio, il Bieber lo fa nascere intorno al IV secolo a.C., in quanto sostiene che egli è un discendente di Maccus, una maschera delle Atellane romane, dal naso adunco e dal volto bitorzoluto. Queste caratteristiche comunque rendono Pulcinella liminare, cioè una creatura di “soglia” e di “frontiera” fra il regno umano e il regno animale: il suo nome stesso (con la sua variante di Polliciniello) richiama un piccolo pulcino, mentre il suo naso ricurvo lo assimila ad una gallina. Animale, questo, antropologicamente pregnante, perché è considerato “psicopompo”, vale a dire accompagnatore delle anime dei morti nell’Aldilà.

 

In tal senso, Pulcinella  consente di spiegare anche etimologicamente anche la parola “maschera”. Essa deriva dal termine tardo latino maska, che indicava un morto o un essere demoniaco. Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato ad Eboli, quando parla del Carnevale del Cilento, presenta le maschere contadine tutte bianche (il bianco è il colore di Pulcinella, ma anche il colore trasparente della Morte, di coloro che vedono senza essere visti) e le descrive come “demoni scatenati, pieni di entusiasmo feroce”. Ma nel Carnevale (e in Pulcinella) la Morte è in rapporto con la Vita, se è vero che il rito carnascialesco è una festa propiziatoria nei confronti del seme, che, per nascere, deve prima sperimentare la condizione della Morte sotto terra.

 

Recentemente Tommaso Esposito, muovendosi tra mito e realtà, ha ripreso una suggestiva tesi dell’Abate Ferdinando Galiani, il quale, nella voce "Polecenella" del suo Vocabolario, riporta la nascita di Pulcinella a un singolare fatto di cronaca, avvenuto nel XVII secolo. Egli scrive, infatti, che una compagnia di commedianti, passando per Acerra, fu attratta e sopraffatta dai frizzi e dai lazzi di un gruppo di vendemmiatori, tra cui si segnalava per arguzia e pregnanza della gestualità, oltre che per la singolarità del fisico e dell'abbigliamento,  un

certo Puccio d'Aniello, che i commedianti poi invitarono a far parte della compagnia con grande successo presso il pubblico. Dal nome “Puccio d’Aniello” sarebbe poi derivato il nome stesso di “Pulcinella”.

 

 

Simbolo dell’atavica fame degli emarginati.  E così Pulcinella porta in giro nel mondo l’alienante emarginazione dei deboli e l’atavica fame dei poveri. Egli sogna non di essere un potente della Terra, ma di saziare il suo endemico desiderio di mangiare. Mangiare all’infinito. Spesso il commediografo napoletano Francesco Cerlone (1730-1812) lo fa salire sul palco, facendogli pronunciare un elenco assurdo e travolgente di pietanze, che egli dice di aver mangiato, mentre in realtà le ha solo desiderate e sognate. Basta un esempio. Nella sua commedia Il vassallo fedele (1793) Cerlone presenta la maschera napoletana come una sorta di buffone di corte.

 

E, quando la sua interlocutrice, l'Infanta, lo invita a elencare "quel poco" che egli ha mangiato, Pulcinella sciorina un pirotecnico elenco di cibi: "Jersera passai lieggio...: mme mangiaie tre mazze de nzalata sarvaggiola, no pede de vacca, e nu musso fellato, co sale, acito e amenta, no fecato de vacca fritto a fella, na pezzella co l'uoglio, arecheta e aglie, cinco ruotoli de pasta bruna, nu miezo presutto e decedotto felle re carne arrustute..." (“Ieri sera cenai leggero…: mangiai tre mazzi di insalata selvaggia, un piede di vacca, un muso di porco a fette, con sale, aceto e menta, un fegato di vacca fritto a fette, una pizza con olio, origano e aglio, cinque tegami di pasta bruna, un mezzo prosciutto e diciotto fette di carne arrostita”).

 

 

 

E contro Pulcinella, affamato e denigrato, tutti e tutto si accaniscono. Nelle varie commedie in cui è protagonista egli è vittima delle vessazioni più varie ed efferate: viene picchiato dagli sbirri, assassinato dai malviventi, impiccato dal boia, portato via dal diavolo. Eppure, improvvisamente ed infallibilmente con un coup de théâtre Pulcinella ritorna sulla scena, invulnerabile, anzi immortale, con il suo volto tragico e comico, a testimoniare quanto la vita sia dura fatica, ma, al tempo stesso, un’avventura splendida da vivere fino in fondo.

 

 

*Docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Salerno

 

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