La sfogliatella napoletana nelle sue varietà: riccia, frolla e santarosa.
Storia, miti e gossip del più caratteristico dolce partenopeo
Anche l'orecchio vuole la sua parte!
di Cleofe Volpe
L’arte della pasticceria nasce in Campania - così come in tante altre regioni dell’Europa cattolica - nelle cucine dei conventi femminili ad opera di solerti monacelle che si adoperavano per preparare, con cura e competenza, dolci e delizie da offrire ai superiori ecclesiastici o ad ospiti illustri nel corso di ricorrenze liturgiche, dimentiche così di incorrere in quello che viene dalla stessa Chiesa considerato uno dei sette peccati capitali, e cioè il peccato di gola.
Le origini
Siamo nel ‘600. La tradizione vuole che le prime sfogliatelle siano nate nel convento della Croce di Lucca nel centro storico di Napoli (dove oggi si trova il Policlinico della II Università).
Solo alle pie donne di un convento di clausura veniva consentito – grazie alla enorme quantità di tempo libero a loro disposizione – di poter eseguire la meticolosa quanto laboriosa preparazione di un impasto fatto di sola farina, acqua, sale e sugna, da stendere poi in strisce lunghe (parecchi metri) e sottili (circa 1 millimetro di spessore) da arrotolare a mo’ di sacchetta (simile al cappuccio di un frate), farcito, infine, con un delicato ripieno composto da semola cotta in latte bollente, ricotta, uova, zucchero, canditi a pezzetti ed aromi di vaniglia e cannella.
I deliziosi fagottini venivano gustati dopo essere stati cotti in forno e spolverizzati con zucchero a velo.
Tre gustose varietà: la riccia, la frolla e la santarosa
La sfogliatella riccia, che rappresenta la varietà più famosa, ha conservato la sua forma triangolare, a conchiglia, vagamente rococò (con una sola c, da non confondersi con il roccocò, altro famoso dolce napoletano).
Proprio perché laboriosa, “la riccia” non viene preparata in casa, a differenza della sfogliatella frolla in cui lo stesso morbido ripieno viene rivestito da soffice pasta frolla, meglio fruibile dalle delicate dentature di bambini ed anziani.
Il terzo tipo, la sfogliatella santarosa è così denominata perché originariamente confezionata nel monastero di Santa Rosa (oggi trasformato in un albergo), ubicato in costiera amalfitana, fra Furore e Conca dei Marini. Differisce dalla riccia per l’aggiunta di uova nell’impasto, per le dimensioni più grandi (in passato aveva l’aspetto di vera e propria torta da tagliarsi a porzioni) e per la presenza, sul bordo di chiusura, di un cordone di crema pasticciera e di confettura di amarene.
La fortuna
A Napoli il tipico dolce fa comparsa ai primi dell’800. L’arguto oste Pasquale Pintauro, con bottega in via Toledo di fronte a Santa Brigida, entrato in possesso – non si sa per quale via – della ricetta dell’originale dolce - nel 1818 trasforma la sua osteria in laboratorio dolciario, con grande soddisfazione per i gaudenti napoletani.
Oggi la sfogliatella si può assaggiare in tutte la pasticcerie non solo di Napoli ma di tutta la Campania. Se si cerca l’eccellenza, la bottega di Pintauro sta sempre là, ha cambiato gestione, ma non il nome e l’insegna, e nemmeno la qualità che resta quella di quasi duecento anni fa.
Rigorosamente calda
Si racconta che il re Ferdinando, quando assaggiò le sfogliatelle, pensò di ricorrere ad esse per conquistarsi i favori delle corti d’Europa. Dovette però rinunciare a questo “machiavellico” stratagemma, per l’impossibilità di poter portare con sé le operose suore: in quanto di clausura, esse non potevano lasciare il convento. Il non poter preparare sul posto l’accattivante dolce lo privava di una sua connaturata qualità, rendendolo impresentabile: andavano gustate croccanti.
Questo per ribadire che la sfogliatella va mangiata rigorosamente calda. Ogni esilarante morso si accompagni sempre agli esaltanti scricchiolii. Anche l’orecchio vuole la sua parte! Provare per credere!