La storia di una convivenza indesiderata raccontata dalla paziente stessa:
quando l’emicrania è la spia di un malessere più profondo
Qualche bella parola sul mio brutto mal di testa
di Giulietta Fabbo*
Vi racconto la mia storia di donna emicranica. Quarant’anni, sposata da cinque anni e mamma di due bambini, di quattro e due anni. Da ragazza soffrivo di attacchi di mal di testa molto forti, ma assolutamente episodici, mentre l’emicrania vera e propria ha cominciato a manifestarsi durante l’estate di tre anni fa, quando il mio primo figlio aveva già un anno; fu allora che iniziai ad accusare mal di testa sempre più frequenti, tanto da decidere di consultare un medico. La frequenza degli attacchi era di circa 6-7 volte al mese. Inizialmente mi è stata proposta una terapia di profilassi con farmaci da assumere quotidianamente, allo scopo di prevenire e ridurre il numero degli attacchi. Questa prima terapia non ha prodotto i risultati sperati, neppure aumentando le dosi del farmaco. Nessun risultato nemmeno con una seconda terapia preventiva; anzi, nell’arco di due anni, la frequenza mensile degli attacchi è aumentata, arrivando anche a 20 episodi algici: l’emicrania era ormai diventata una compagna costante delle mie giornate. Una convivenza difficile poiché, fatta eccezione per i momenti in cui un attacco fortissimo ti costringe a fermarti e a chiuderti in una stanza buia, a letto, nell’attesa che il dolore passi, la vita di tutti i giorni va comunque affrontata ed è necessario continuare a svolgere tutte le attività, tutte le incombenze, ma con il mal di testa.
La beffa poi, nel mio caso, è stata doppia, in quanto gli attacchi emicranici colpiscono sostanzialmente i miei momenti di libertà - il pomeriggio, il fine settimana, la domenica, le vacanze - mentre di rado ho mal di testa la mattina, quando lavoro. Nei diari, che secondo il protocollo delle terapie il soggetto emicranico compila per registrare tutte le caratteristiche degli attacchi, i miei mal di testa cominciano generalmente intorno alle ore 15.00, le domeniche sono quasi tutte contrassegnate da una crocetta e i mesi di luglio e agosto, in cui sono in vacanza dal lavoro, rilevano regolarmente il maggiore picco di frequenza degli attacchi. Dunque è sostanzialmente la mia vita privata ad essere compromessa inesorabilmente dall’emicrania.
Il medico che mi seguiva, oltre a prospettarmi le diverse cure farmacologiche disponibili, comprese che non era il farmaco la soluzione al mio mal di testa, in quanto l’emicrania era solo il sintomo di un malessere, la cui causa risiedeva altrove e meritava un’analisi più intima e profonda. Con il suo aiuto intrapresi un nuovo percorso, attraverso i numerosi spunti di riflessione che mi offriva durante le visite di controllo in ospedale. I colloqui con il medico mi inducevano a riflettere sulla mia persona e sulla mia quotidianità, a mettermi in discussione, a guardare situazioni ed eventi da un altro punto di vista. Iniziai a capire che stavo solo sopravvivendo alla mia vita, senza assaporarne realmente i piaceri. Probabilmente come moglie e madre di due bimbi molto piccoli, in età ravvicinata tra loro, sentivo e subivo così tanto il peso dei doveri e delle responsabilità che nel frattempo dimenticavo di godere delle gioie, dei sorrisi, del piacere di stare con la mia famiglia.
Contemporaneamente la terza cura preventiva, con una diversa categoria di farmaci, finalmente sembrava dare qualche risultato: il numero degli attacchi cominciava a diminuire, regalandomi qualche giornata in più al mese sgombera dal mal di testa.
Ho scoperto un po’ alla volta che valorizzare le soddisfazioni e le gioie derivanti dai propri obblighi, rispetto alla fatica, aiuta a sentire di meno la fatica stessa, ho imparato - e forse sto ancora imparando - ad apprezzare gli aspetti positivi che la vita mi offre. Ho capito che il mio mal di testa è solo il sintomo fisico di un disagio più profondo e che non posso riporre le speranze di guarigione unicamente nelle soluzioni farmacologiche.
Mettermi in discussione è un’impresa difficile, un percorso lungo e spesso doloroso, ma forse l’unico per aiutare me stessa ad arginare il “male”.
* Relatrice al Meeting di Avellino