Storie, leggende e simboli di un dolce natalizio tipico della tradizione partenopea,
un evergreen pari a sfogliatella, babà e pastiera. Le linee guida
Gli struffoli, delizia per palato, olfatto e vista
di Antonietta Amato
Non proprio napoletano…
Nella tradizione natalizia partenopea, gli struffoli rappresentano sicuramente il dolce tipico, caratteristico di questo periodo: un evergreen pari alla sfogliatella, al babà e alla celebre pastiera. Ma, nonostante la loro tipicità, sembra che essi non siano stati inventati a Napoli, ma importati dagli antichi Greci. Peraltro, nella odierna cucina greca esiste ancora una preparazione simile, i loukoumades (ghiottonerie). Anche il loro uso come dolce tipico natalizio sembra essere relativamente recente, in quanto il ricettario del Crisci (1634) ne fa cenno ma non specificamente in relazione al periodo di Natale.
Dal greco deriverebbe lo stesso nome dello struffolo, ossia della singola pallina che compone il dolce; precisamente dalla parola στρόγγυλος (stróngylos, pron. "strongoulos" o "stroggulos") che significa "di forma tondeggiante".
Due famosi trattati di cucina del 1600, il Latini e il Nascia, citano come “strufoli o anche struffoli alla romana” dei dolci preparati alla stessa maniera degli struffoli napoletani. In alcune zone del Lazio, Marche, Abruzzo e Molise esiste una variante chiamata cicerchiata per la forma simile alle cicerchie, tipico legume; in Basilicata e Calabria si trova invece la cicerata.
Gli abitanti della Tuscia, regione intorno a Viterbo, così come quelli ubicati nell’area della Ciociaria, in particolare presso la cittadina di Ceccano, indicano quelle frittelle di pasta soffice e leggera col nome di castagnole (palline fritte della dimensione di una castagna), tipiche del periodo di Carnevale.
A Taranto e provincia viene usato il termine sannacchiudere, mentre a Lecce quello di purcedduzzi (porcellini dolci).
A Carloforte, in provincia di Iglesias (Sardegna), vengono appellati come giggeri.
Gli struffoli si trovano pure a Palermo, con qualche piccola ma non sostanziale variante, una delle quali consiste nella perdita di una “f” : “strufoli”.
Forme & varianti
Il dolce è composto da numerosissime palline di pasta (realizzata con farina, uova, burro, zucchero e aromi) di non più di 5-10 mm di diametro, fritte nell'olio o nello strutto. Dopo averle lasciate raffreddare, vengono avvolte nel miele caldo e disposte in un piatto da portata; si conferisce loro, in genere, la forma di ciambella o di una piccola montagna; la composizione si decora infine con pezzetti di cedro, altra frutta candita e gli immancabili confettini colorati, detti diavolilli (diavoletti) oppure minulicchi. Una variante alternativa ma sicuramente “minore” – a nostro avviso da non considerare – può identificarsi negli struffoli cotti al forno anziché fritti, più leggeri ma non altrettanto gustosi.
Le linee guida
Nella preparazione degli struffoli molto è lasciato “al naso” – di fatto hanno un bell’aroma – , ma nulla è lasciato al caso. Ciascuna pallina di pasta fritta è un capolavoro di ingegneria domestica, derivante dalla costante pratica avvenuta nelle cucine delle benedette massaie campane in centinaia d’anni di sperimentazione.
Il vero struffolo deve essere di piccole dimensioni sì da aumentare la superficie di pasta che entra in contatto col miele, per cui non solo il sapore diventa molto più intenso, ma grazie al più alto rapporto pasta/miele ne viene garantita una più lunga conservazione (si pensi ai tempi – non tanto lontani – in cui non vi erano i frigoriferi!).
Altra regola aurea è che negli struffoli non esistono elementi accessori: tutto è importante, a partire dai confettini – i diavolilli – ai canditi: arancia e cedro. Ma la parte del leone la fa la zucca candita: la famosa cucuzzata. E poi attenti al liquore da aggiungere all’impasto: a nostro avviso, Anice o Strega, tipico liquore beneventano! Infine il miele: puro – senza un ingrediente prelavente – ed abbondante.
Il miele, simbolo della rinascita
Numerose storie ci raccontano del miele come simbolo della Dolcezza e della Rinascita. I gemelli indiani Ashvin, messaggeri degli Dei, mangiano miele nel cielo mattutino. Nella Bibbia si racconta che Sansone, dopo aver ucciso un leone, estrasse dal suo ventre un alveare d’api, ricco di miele. La cosa lo mise di buon umore, tanto da spingerlo a formulare un aforisma: “dal divoratore è uscito il cibo, dal forte è uscito il dolce” (Giudici, 14). Morale della storia: dalla morte nasce la vita.
A proposito di nascita, il corpicino del Bambino Gesù viene definito “roccia che dà miele”. Non è quindi un caso che gli struffoli siano un dolce tipicamente natalizio.
Meglio quelli della zia monaca
Gli struffoli, come tutti gli evergreen, nella loro sostanziale immutabilità presentano molte varianti; oltre a quelle regionali già accennate prima, ci sono quelle familiari e personali. In questo sono come tante altre tipiche pietanze (polpette, pastiera, etc.): anche se gli ingredienti sono esattamente gli stessi, esistono tanti struffoli diversi quante sono le case e le pasticcerie in cui vengono preparati. Essi possono altresì presentare punti oscuri, nascondere, riguardo alla preparazione, segreti, spesso custoditi gelosamente.
Per tali ragioni, ognuno ritiene che i “propri” struffoli siano quelli autentici, tradizionali, tramandati da una nonna, una mamma o – ancora meglio – da una zia monaca. Quest’ultima, quando c’è, rappresenta una garanzia: a Napoli un tempo gli struffoli venivano preparati nei conventi, dalle suore dei vari ordini, e recati in dono a Natale alle famiglie nobili che si erano distinte per atti di carità.