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Viaggio tra i culti dei Santi protettori contro il mal di testa



Una Santa Cefalea

di Carlo Lisotto *

Nei paesi europei di religione cattolica alcuni Santi sono diventati nel tempo, per varie motivazioni, i protettori dei pazienti cefalalgici.
In Francia il Santo protettore “ufficiale” è Saint Avertin, verosimilmente paziente egli stesso; le statue lignee che lo rappresentano con la mano destra che preme sulla tempia sinistra si trovano a Luignè, una cittadina sita lungo la valle della Loira.
In Italia i Santi protettori sono addirittura due.
Del primo, Sant’Ellero, si conosce relativamente poco, sia sulla sua vita che sulle motivazioni che l’hanno reso protettore dei soggetti affetti da cefalea. Del secondo, San Pietro da Verona, le notizie storiche e gli eventi per cui i fedeli lo hanno considerato colui che protegge dalle cefalee sono sicuramente meglio documentati.


Sant’Ellero nacque in Tuscia nel 476 e morì nel 558 a Galeata, cittadina appenninica in provincia di Forlì-Cesena. Era un eremita e decise di edificare il suo sacello per la preghiera nella solitudine degli Appennini romagnoli, nei pressi dell’attuale località di Galeata. Negli anni successivi divenne un cenobita e fondò un monastero, le cui regole erano sovrapponibili a quelle stabilite in quegli stessi anni da San Benedetto da Norcia. Sant’Ellero divenne molto popolare per le sue straordinarie doti di predicatore, a cui vennero associati poteri taumaturgici. Molti malati ricorsero alle sue cure, tra cui anche soggetti affetti da cefalea. Nei secoli successivi alla sua morte i fedeli cefalalgici iniziarono a visitare il monastero nel giorno in cui il Santo viene celebrato, il 15 maggio, per lenire le loro sofferenze. La tradizione vuole che i pazienti inseriscano il proprio capo nel foro sito sul tetto del sacello di preghiera, che fa parte della cripta del monastero. Il contatto con il foro preserverebbe il paziente dalla cefalea per tutto l’anno.




San Pietro nacque a Verona nel 1206 da padre eretico, appartenente alla setta dei catari italiani, che avevano in parte ripreso aspetti dottrinali dell’antico Manicheismo. Nonostante le sue origini, egli si propose fin dalla prima giovinezza di impegnarsi nella conversione dei catari, consapevole di quanta discordia in Europa stesse apportando la setta eretica. Il Catarismo costituì un movimento diffuso in Europa tra il XII e il XIV secolo. I catari vennero duramente combattuti dalla Chiesa Cattolica, che bandì nel 1208 per volontà del papa Innocenzo III una crociata, la prima in terra cristiana, nel tentativo di estirpare l’eresia dai territori della Provenza.

San Pietro venne educato per volontà della madre secondo la dottrina cattolica; a Bologna, dove studiava Diritto, udì nel 1221 una delle ultime prediche di San Domenico di Guzmán, dalla quale fu così toccato che volle immediatamente entrare nell’Ordine domenicano. Nel 1231 iniziò la sue predicazioni, in particolare in Toscana, venendo nominato l’anno successivo Praedicator Generalis; nel 1233 venne assegnato al convento milanese di Sant’Eustorgio.

La necessità di un uomo forte, che riuscisse con il sapere teologico e con la grande abilità predicatoria ad opporsi ai catari, spinse papa Gregorio IX a nominare San Pietro inquisitore generale del Sant’Uffizio di Milano e Como nel 1242. San Pietro contrastò l’eresia specialmente a Milano, Bergamo, Como, Firenze e Roma. A Milano la sua popolarità crebbe rapidamente e le sue arringhe dal pulpito di Sant’Eustorgio venivano seguite da un numero sempre crescente di fedeli. Nel giorno della domenica delle Palme del 1252 San Pietro proclamò l’Editto di Grazia, in base al quale gli eretici avrebbero ricevuto la piena assoluzione, se si fossero a lui presentati spontaneamente. Già dai primi giorni l’editto ebbe un buon seguito, scatenando così le ire dei capi catari, che ordirono un piano per assassinare San Pietro. L’esecuzione del delitto fu affidata a un povero contadino, Pietro da Balsamo detto Carino, il quale, assicuratosi circa la propria protezione in caso di arresto, accettò e si scelse un complice.

Dopo aver trascorso la Pasqua nella città di Como, di cui era priore, il sabato successivo, il 6 aprile 1252, San Pietro ripartì per Milano in compagnia di un confratello. L’agguato venne teso nel fitto bosco di Farga, nella zona di Seveso. Carino afferrò San Pietro per un braccio e assestò un secco fendente di roncola sulla testa del frate, finendolo successivamente con un coltello. Il processo di canonizzazione di San Pietro, primo martire domenicano, fu uno dei più rapidi della storia della Chiesa. Il 25 marzo 1253 papa Innocenzo IV lo proclamava Santo e le autorità di Milano decisero che il corpo di San Pietro venisse sepolto in Sant’Eustorgio. Proprio per le modalità della sua morte, San Pietro divenne rapidamente il santo protettore di chi soffre di cefalea.

La devozione popolare aveva già avuto un inizio trionfante a pochi giorni dalla morte del frate, quando iniziarono a girare voci di grazie e di miracoli ottenuti per sua intercessione, in particolare relative alle guarigioni dal mal di capo. Come afferma Luciano Sterpellone, storico della Medicina, “chi soffre di mal di testa suole definirlo un chiodo infisso nel capo. Un dolore comunque sempre meno intenso e assai più tollerabile di quello provocato dal colpo di roncola ricevuto in testa da San Pietro da Verona nel giorno della sua morte.
Ma proprio per quel colpo al capo, egli è entrato a far parte dei protettori di chi soffre di cefalea”. Ma oltre a questa, viene tramandata un’altra tradizione su come San Pietro Martire divenne il protettore dei pazienti cefalalgici. Nell’autunno del 1253 il corpo del Santo fu esposto alla venerazione del popolo in Sant’Eustorgio.

Il giorno seguente l’arcivescovo Leone da Perego, dopo aver staccato il capo, depose i resti mortali in un sarcofago di marmo. La reliquia del capo diventò così oggetto di venerazione, separato dal corpo anche se all’interno della stessa chiesa. Nel 1336, dopo aver raccolto ricche elemosine provenienti da devoti di Paesi anche lontani, i Domenicani decisero di costruire un monumento sepolcrale degno della fama e dei miracoli del santo. L’incarico della costruzione di un’arca marmorea fu affidato allo scultore pisano Giovanni di Balduccio. Nella costruzione dell’arca venne stabilito di collocare il sarcofago in uno spazio centrale della chiesa, in modo che i pellegrini potessero girare intorno al monumento e così ammirare le scene dei miracoli ivi scolpite e, soprattutto, toccare la sepoltura per venire a contatto con i poteri taumaturgici del Santo. L’opera venne conclusa nel 1339 e le spoglie del Santo vi vennero deposte solennemente nel 1340. L’anno successivo l’arcivescovo di Milano, Giovanni Visconti, donò un tabernacolo d’argento per la testa, che trasferì dalla chiesa nella sua cappella palatina.

Secondo le cronache, non appena la reliquia raggiunse la nuova sede, l’arcivescovo fu colpito da una terribile cefalea, che sparì solo quando il reliquiario tornò in Sant’Eustorgio. La vicenda è riferita dallo storico Gaspare Bugati  in un documento conservato nell’Archivio di Stato di Milano. Da allora i milanesi avrebbero iniziato ad invocare il Santo come protettore dalle cefalee. In ogni caso, tale credenza è ancora diffusa, tanto che a Milano si usa dire “andà a pestà el cò in Sant’Ustorg” (andare a picchiare la testa in Sant’Eustorgio). Il 29 aprile, infatti, giorno dedicato a San Pietro Martire, è consuetudine andare a dare una testata contro l’arca di San Pietro per preservarsi dalla cefalea per tutto l’anno, oppure strofinare l’urna che contiene la testa con un panno che poi viene avvolto attorno al capo per far cessare la cefalea. Nel corso del XV secolo, venne stabilito di dare una degna cornice al reliquiario della testa e fu pertanto edificata una cappella per volontà dell’agente fiorentino Pigello Portinari, direttore del Banco dei Medici di Milano. La “Cappella del Capo”, più tardi denominata Portinari, fu edificata tra il 1462 e il 1467 e alcuni anni dopo venne dato l’incarico di affrescarla al pittore bresciano Vincenzo Foppa, che raffigurò gli episodi principali della vita del frate domenicano. La testa del Santo venne successivamente trasferita in un’urna di cristallo, argento e oro donata da Ludovico il Moro. Nel 1736 fu decisa la traslazione dell’arca, che era rimasta nella navata sinistra della basilica: essa venne collocata al centro della Cappella Portinari, nella quale furono così riunite le reliquie del santo. Nel 1958 si decise di procedere ad una ricognizione del contenuto dell’urna che conserva la testa di San Pietro: il teschio presentava nella parte posteriore  una lesione compatibile con un colpo di roncola.

La fama di San Pietro da Verona divenne immensa per il martirio, i miracoli e la rapidissima canonizzazione. Era inevitabile che gli artisti si occupassero di questa figura eroica, tra le più esaltate nella storia dei santi. Gli scultori ed i pittori lo hanno quasi sempre rappresentato con l’abito bianco e il mantello nero dei domenicani, ponendo in evidenza lo strumento del suo martirio, la roncola conficcata nella testa. Tra i numerosissimi pittori che lo hanno rappresentato nelle loro opere, sono da annoverare, oltre a Vincenzo Foppa, Cimabue, Beato Angelico, Filippo Lippi, Giovanni Bellini, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo Lotto, Tiziano Vecellio, Domenichino e Guercino.


* Centro Cefalee, Azienda Ospedaliera “Santa Maria degli Angeli”, Pordenone

 



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