Attraverso la Grande Vecchia l'uomo domina le proprie paure
La Befana, strega cattiva e strega buona
di Franco Salerno*
La Befana esiste. Nell'inconscio collettivo, nelle tradizioni popolari, nella fantasia dei bambini, naturalmente. Perché questa Grande Vecchia ha suscitato e suscita paure e speranze, allusioni al Soprannaturale e goderecci richiami al profano? Di certo, se per miracolo potessimo salire sulla mitica scopa della Befana, voleremmo molto lontano. Nello spazio e nel tempo.
E giungeremmo nelle arcaiche società dei nostri antenati, i quali conoscevano bene la figura della "strega buona", che dispensava doni e aiutava l'eroe a superare fatidiche prove.
Ella arriva nella notte del 5 gennaio. Una data emblematica. Perché è allora che finisce il tempus tremendum degli antichi, iniziato nella notte fra l’1 e il 2 novembre, quando si pensava che si verificasse il ritorno ciclico dei morti. Perciò in Veneto, fra Collalto e Torcello, esiste una vera e propria “Valle dei Morti”, nella quale -si narra- morirono sette pescatori che, nel giorno della festa dei defunti, si recarono al lavoro, violando l’arcaica abitudine di astenersi da qualunque attività in questa ricorrenza: un cadavere da loro pescato si ridestò e li trascinò nell’Aldilà.
E questo lungo periodo è anche il momento, secondo cui in Campania ritornano i defunti sulla Terra; e per essi, nella notte fatidica del 1 novembre, si pongono sul tavolo della cucina un bicchier di vino, uno d'acqua, del pane ed un pezzo di baccalà (famoso è il dolce chiamato il pane dei morti). Segno evidente della necessità per il defunto di rifocillarsi dopo l'arrivo e prima della partenza dal Mondo, durante il loro lungo Viaggio.
Dunque, proprio alla fine di questo periodo, ambiguo e liminare, nella notte del 5, appare la più famosa vecchia di tutti i tempi. Nella tradizione popolare italiana la Befana ha sostituito la figura pagana di Madre Natura, che, nella dodicesima notte dopo il Natale, dopo aver dato agli uomini cibo e doni della terra per dodici mesi, prende le sembianze di una vecchia strega per farsi bruciare come un ramo secco. In tal caso, il falò ha un valore rigeneratore: dalle ceneri della vecchia Madre Natura si riteneva che nascesse una nuova madre Natura, giovane e forte, capace di donare la vita alla terra per altri dodici mesi.
Questo legame con l’abbondanza collegò la Befana anche con la dea pagana Diana, dea notturna dell’abbondanza, che, in compagnia di altre donne, sorvolava i campi appena seminati per renderli fertili. In tal modo, però, finisce per identificarsi con una strega. E con Diana e le sue compagne sono identificate, fin dal Medioevo, tutte le altre donne contigue alla cultura magica: esse sono considerate delle streghe sdentate, rese ancor più brutte dai capelli arruffati e dagli abiti trasandati e cenciosi.
Nasce, attraverso questi strani percorsi, nell’immaginario collettivo, l’iconografia della Befana giunta sino ai giorni nostri. Sino alla fine del ’600 esiste la credenza che le Befane siano due: una cattiva (collegata alla morte) e una buona (dispensatrice di doni).
Il primo aspetto si ricollega alla succitata credenza, secondo cui i morti ritornano sulla Terra dal 1 novembre al 5 gennaio. In questa data conclusiva i "ritornanti", secondo l'immaginario popolare, devono rientrare nelle buie dimore dell'Aldilà. Perciò in alcune zone del Vallo di Diano, in provincia di Salerno, nella notte del 5, davanti ad ogni casa c'è una candela accesa, per dare ai morti una lampada, con la quale "poter andare definitivamente dinanzi a Dio". Di qui una sorta di psicosi di fronte alla magica notte della Befana: "Tutte le feste -recita un detto popolare campano- vanno e vengono; solo quella della Befana non dovrebbe mai venire". Perché si porta via, per un altro anno, i morti che per più di un mese erano tornati sulla Terra.
Il secondo aspetto, quello positivo, è evidente nel rito della “Befanata”. Esso consisteva nella questua alimentare, fatta di casa in casa dai giovanotti della comunità per fini apotropaici: infatti, cantando e recitando, si pensava di riuscire a scacciare le manifestazioni negative della Natura.
La “Befanata” ha una tradizione illustre e radicata nella provincia di Grosseto.Questo rito ha come protagonisti una coppia di “vecchi sposi”: la befana e il befano. Essi sono accompagnati da un gruppo di cantori (befanotti), accompagnati musicalmente da una fisarmonica, una chitarra e un mandolino. Altri due personaggi tipici della “befanata” sono il raccoglitore di offerte e il cosiddetto “poeta”.
Quest’ultimo è un recitante che chiede il permesso, prima di entrare in casa delle persone a cui fa visita, ed effettua il ringraziamento prima di uscirne. Egli svolge un ruolo evidentemente liminare (“di soglia”). Questo gruppo, con i suoi frizzi e lazzi, suscita inevitabilmente l’ilarità del pubblico, a cui peraltro si chiede di trovare un marito per la loro “figlia”.
Il carattere parodistico del rito è accentuato dalla presenza di un asino dalla struttura “duplice”, che conferma l’ambiguità della Befana: la testa è costruita in cartapesta, mentre il corpo dell’animale è formato da due uomini con il dorso ricoperto da un mantello scuro, su cui sono sistemati due cesti per raccogliere le offerte. Questo rito, leggero ed ironico, è la spia più eloquente di come le culture del passato riuscivano, con il sorriso consapevole e saggio, ad esorcizzare il Male, sapendo che l’Incubo non è possibile sradicarlo dal mondo, ma è possibile “metterlo là”, fuori di noi, per farne un oggetto visibile e dominabile.
* Docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Salerno