Atti del Congresso


VINCERE IL DOLORE EDUCANDOCI A SOFFRIRE


F. Salerno, Docente di linguaggio giornalistico - Università di Salerno

 

fsalerno2@alice.it

 

 

Il Dolore e la Terra Promessa
 Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor”: così canta Giacomo Leopardi. “Dolore”: parola, dunque misteriosa, eppur quotidiana. Inspiegabile, eppur da tutti percepibile. Condizione che attraversa il corpo. E lo lacera. E lo segna. E proietta su di esso lettere scritte con il sangue «È il corpo a mostrare, è il corpo a parlare»: così scrive Merleau-Ponty. E aggiunge Carlo Sini: “Il linguaggio del corpo viene letteralmente prima del linguaggio: come mai parleremmo se, prima ancora che le nostre intenzioni e i nostri sentimenti ci divenissero familiari e consapevoli, il corpo non avesse parlato, non ‘ci’ avesse parlato?”. Le più profonde emozioni gestuali, infatti, sono quelle del dolore: “esse che ci affidano a un noi e che ci donano un io. Il bambino, per esempio, è ruzzolato per terra: guarda la mamma, non sa bene se deve piangere (ne accenna gli inizi); è la reazione materna a suggerirgli che sì, oppure che no: non è niente, puoi rialzarti.” Il dolore, dunque, serve a educare il corpo con il corpo.
Questa educazione è senza fine, va al di là delle generazioni. Potremmo dire che tuttora, all’inizio del Terzo Millennio, essa non si conclude (del resto, “la vita stessa non conclude”: scrisse Luigi Pirandello). E come è protratta nel futuro, così affonda il bisturi della conoscenza nella carne del tempo. Quello passato. Quello ancestrale. Quello di coloro che ci hanno preceduto di millenni sul volto della Terra.

E’ stata la Bibbia a indicare una strada all’uomo sofferente, pellegrino sulla Terra. La Bibbia ci insegna -scrive Gianfranco Ravasi, il più grande biblista contemporaneo- che la sofferenza dell’uomo è un mistero che fa parte di un piano trascendente, del quale possiamo solo intuire la coerenza generale. Nel libro di Giobbe (che assume sul suo corpo e dentro la sua anima le più grandi sciagure che possa provare un uomo, un ha-adam, in ebraico "l’uomo" di tutti i tempi e di tutte le regioni del mondo) è Dio stesso (capitoli 38-41) a mostrare a Giobbe il doppio volto del mondo.
Da un lato, c’è il cielo stellato con la sua armonia perfetta e gli esseri viventi con il loro corpo che è un miracolo stupendo; ma, dall’altro, si accampano terribili e disarmoniche le epifanie del Male, i due mostri Behemot e Leviatan, pronti ad apportare il dolore agli uomini. L’uomo ha, dunque, dinanzi a sé due strade: o la “Terra Promessa” -che è il progetto di amore con il Creatore, di armonia con la Natura e di pace con il suo simile- oppure il progetto opposto di alienazione, di violenza e di prevaricazione (da Caino alla diabolica società di Babele).

Le vie dell’antropologia alla lotta contro il dolore

Entrambe le strade rivelate a Giobbe sono state percorse dall’Uomo: quella del dolore apportato agli altri e quella del dolore sopportato dal sofferente. La seconda ha condotto nel secolo scorso all’età dei totalitarismi, che hanno determinato eccidi epocali e oceani di sangue. La prima, invece, fortunatamente per la stirpe umana, ha partorito speranze e progetti. Talvolta essa si è contaminata con la ragione laica della fratellanza e della giustizia sociale, tentando di lenire i dolori delle classi subalterne, dei dannati delle Terra, dei pezzi piccoli della Società, che per noi contano più di quelli grandi. Talaltra si è insinuata per entro le pieghe della saggezza popolare, consentendo ai portatori di tale cultura di fronteggiare il dolore della morte di un congiunto.

Alludiamo, tra le tante pratiche, a  quella del lamento funebre, diffusa in Campania, Basilicata e Sardegna e magistralmente studiata da Ernesto de Martino negli anni ’50. 
La scansione rituale e prevista del pianto corale dei parenti del defunto (in genere, donne) è finalizzata a elaborare il lutto, che si è presentato in modo alogico e imprevisto: colei che piange “sa” che cosa deve dire e che cosa deve fare e viene assistita da parenti ed amiche che piangono e soffrono “come lei” e “con lei”. Tipica è anche la mimica del pianto rituale accompagnato a lacerazioni più o meno vistose che la lamentatrici fanno sul proprio viso e sul proprio corpo (si ricordi che “pianto” deriva da planctus, che indica “l’atto del colpirsi”).
Tutte le lamentatrici presenti lo fanno e soffrono insieme in un atto di “cum-passione”, che attenua il dolore del singolo sofferente.

Il Dolore tra fede e mistero
Inserita in questo mondo delle dolenti classi popolari è il caso di Natuzza Evolo (1924-2009), che è nata e vissuta a Paravati, in Calabria. Caso emblematico e sconvolgente, il suo. Tutto parte dalla inspiegabile presenza delle stimmate sul suo corpo nel periodo pasquale, momento di celebrazione della Passione di Cristo. Il dolore è da lei sopportato nel silenzio e nella preghiera, per la consolazione degli afflitti, anche se le gerarchie ecclesiastiche insinuano inizialmente dei dubbi sulla veridicità del fenomeno. A cui si aggiungono altri fatti sconvolgenti.


Il prof. Valerio Marinelli, che ha fin dal 1996 ha raccolto e pubblicato le testimonianze di oltre trecento persone, attesta che esse l'hanno vista in bilocazione, addirittura tra Calabria e Australia. E Natuzza ha raccontato per filo e per segno tutto quello che ha visto e che le persone hanno fatto nel luogo in cui ella si è “spostata”. A qualcuno è successo di vederla muovere degli oggetti, addirittura trasportarli da un luogo all'altro, oppure lasciare sul posto visitato un meraviglioso profumo di fiori. Molti sostengono di averla vista poggiare sul
suo corpo un fazzoletto, su cui poi è comparsa una scritta di argomento sacro (fenomeno della “emografia” o “scrittura con il sangue”).
Una persona speciale, insomma, che ha dimostrato con la sua vita eccezionale, quanto il soffrire con il proprio corpo serva ad alleviare il dolore degli altri.

 


Bibliografia essenziale

  1. Arnobio il Giovane, Passio Sancti Sebastiani, V secolo.
  2. Bibbia, Il libro di Giobbe.
  3. Ernesto de Martino, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria Einaudi, 1958, poi Bollati Boringhieri, Torino, 2000 (con introduzione di Clara Gallini).
  4. Giacomo Leopardi, Canti, a cura di Giuseppe e Domenico De Robertis, ed. A. Mondadori, serie Oscar studio, Milano 1978.
  5. Lombardi Satriani – Mariano Meligrana, Il ponte di San Giacomo, Rizzoli, 1982.
  6. Joseph Roth, Giobbe. Storia di un uomo semplice, 1930, ed. it. Milano-Roma, 1932.
  7. Franco Salerno, La vita, la festa e la morte: culti popolari in Campania, Altrastampa, 2000.
  8. Carlo Sini, L’enigma di quell’ambigua saggezza, che fa coincidere istinto e ragione, in Corriere della Sera, 12 febbraio 2012, pag. 33.
  9. Anna Maria Turi, Stigmate e stigmatizzati, Roma, 2001.