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Miti, riti e simboli di un evento che affonda le sue origini nel territorio dell’Arcano
Carnevale o del mondo alla rovescia
di Franco Salerno (*)
Il significato della maschera
Forse l'enigma del Carnevale è tutto in un interrogativo: la maschera, emblema carnascialesco, vela o svela qualcosa? Oppure, più ambiguamente, ri-vela: cioè svela, ma al tempo stesso vela di nuovo. Capire, dunque, il mistero della maschera equivale a intraprendere un Viaggio nei territori dell'Arcano, dell'Indicibile, del Doppio. Un Viaggio che ci consente il più folle dei voli pindarici: da Dioniso a Giulietta e Romeo. Dioniso: il dio greco, nato due volte, padre del teatro antico (gran teatro è il Carnevale!), ucciso dai Titani, mentre guarda in uno specchio il falso doppio di sè. Romeo e Giulietta: gli immortali figli di Amore e Morte, che si incontrano in una festa di Carnevale, nella quale Romeo è mascherato da "ninfa" e supera in bellezza le altre donne. Vita e Morte, Mistero e Verita, Uomo e Donna, Divertimento e Paura sono nella maschera. Parola terribile già nella sua etimologia. Perchè, come ci dicono i glottologi, non deriva dal rassicurante termine arabo maskarah, bensì da un tardo latino maska, che, attestato nell'Editto di Rotari (643), indicava, in analogia con la striga, un morto o un divoratore di persone vive. In una parola un essere demoniaco. Ne sapeva qualcosa Tommaso Garzoni che, aprendo il LXXXIV Discorso (De’ mascherari e delle maschere) della sua Piazza universale di tutte le professioni del mondo (1589), scriveva: "La prima maschera che mai sia stata rappresentata fu l'Angelo Nero". Ma nel Carnevale la Morte è in rapporto con la Vita, se è vero che essa è una festa propiziatoria nei confronti del seme, che per nascere deve prima sperimentare la condizione della Morte sotto terra.
Carnevale dei nobili e Carnevale dei poveri
Che il capovolgimento sia la caratteristica di fondo del Carnevale è confermato dall'immagine del mondo alla rovescia, tipicamente carnascialesca. Questa carica potenzialmente eversiva fu compresa dalle classe egemoni nei secoli scorsi, soprattutto in Campania. Famoso fu il decreto con cui nel 1734 il re Carlo III vietò ai Napoletani di mascherarsi, per evitare risse e incidenti. Del resto, 30 anni dopo, le plebi affamate della capitale borbonica trasformarono in una rivolta per il pane il Carnevale, che però finì in un bagno di sangue. Significativa è al proposito anche l’esistenza in Campania di un Carnevale dei nobili che fu contrapposto nell’800 al Carnevale dei poveri. Diffuso è anche l’"abbassamento" del Potere costituito. Esso è facilmente ravvisabile nell'ultracentenario Carnevale di Capua (Ce), che è caratterizzato dalla consegna da parte del Sindaco delle chiavi della città a Re Carnevale, il quale alla fine della festa sarà, come da copione canonico, bruciato e compianto. La contraddizione esplode sovrana nelle maschere meridionali. La città di Sarno, ad esempio, ha avuto addirittura una sua maschera locale. Si chiamava Alesio ed era rappresentata da una persona mascherata, che, recando in mano un vaso da notte contenente maccheroni, avanzava ritmicamente, mentre tutti ironicamente lo imitavano, fra la folla, portando un lungo camice bianco e il volto dipinto metà giallo e metà azzurro. In tal senso, funge da modello che incarna le contraddizioni stesse della vita.
Eros e sfrenamento in Campania
Questi elementi e l'inevitabile carica orgiastica spiegano l'opposizione nei confronti di questa festa da parte della Chiesa cattolica: valga per tutti il bando di Benedetto XIV, che nel 1748 stigmatizzava aspramente l'eccesso di crapule e di travestimenti che si protraevano nelle Chiese anche il giorno dopo. L'abuso, dunque, come occasione di peccato e di peccato carnale, innanzitutto. Collegate al tema dell’amore sono ancor oggi molti ritualismi carnevaleschi campani. Ad esempio il laccio d'ammore, che si effettua nel Casertano e nell'Avellinese: in una martellante quadriglia le coppie di danzatori intrecciano e dipanano 24 lacci pendenti da una pertica, dall'evidente significato fallico.
Il tema dello sfrenamento ritorna evidente nel Carnevale di Montemarano (Av), dove diaboliche sono le rosse maschere del corteo che intona frenetiche "tammurriate" e dove rituale e ritmico è il movimento di coloro che, nelle due file di danzanti, si voltano a destra e a sinistra compiendo, come notava Annabella Rossi, il gesto dello specchiarsi, tradizionalmente esorcizzatore nei confronti del Male.
(*) Docente di linguaggio giornalistico, Università di Salerno
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