Le cause, le caratteristiche, l’approccio terapeutico per un fenomeno di comune riscontro
Le cefalee da abuso di farmaci:
un fenomeno da arginare
di Vincenzo Busillo (*)
La pratica clinica di cefalologi evidenzia continuamente la presenza di pazienti che soffrono quasi costantemente o quotidianamente di cefalea e che una larga percentuale di questi assume in maniera regolare, spesso giornaliera e da lungo tempo, analgesici. Molto spesso tali pazienti (in genere di sesso femminile) non hanno piena coscienza del problema di cui soffrono in quanto la loro attenzione è rivolta prevalentemente ad evitare l’insorgenza o l’aggravarsi del dolore, vissuto per anni con angoscia ed inquietudine e tale da renderli consapevoli di una condizione di inabilità e di inadeguatezza verso il proprio sistema di vita quotidiana.
Il compito del medico è in tal caso rivolto non solo a combattere il mal di testa giornaliero o l’abuso di farmaci per arginarlo ma essenzialmente a far sì che il paziente, nella convinzione di dover convivere inevitabilmente con il dolore, acquisti fiducia in una terapia nella quale non crede più.
I dati epidemiologici indicano che nella popolazione generale le cefalee croniche quotidiane hanno una prevalenza intorno al 4-5% e quelle associate ad abuso di farmaci (medication overuse) sono presenti in circa l’1% della popolazione generale.
Di fronte ad un paziente che ha problemi di cefalea quasi quotidiana e assume analgesici da lungo tempo, viene naturale pensare che sia la cefalea la causa dell'assunzione dei farmaci e non viceversa. Questo è il motivo per cui il legame fra abuso di analgesici e comparsa di cefalea è stato per lungo tempo misconosciuto. La possibilità che la cefalea abbia una causa iatrogena va comunque presa in attenta considerazione dal momento che, come i dati disponibili suggeriscono, l'uso eccessivo di analgesici, sia da banco che da prescrizione, può in realtà peggiorare e perpetuare il mal di testa, causando la cosiddetta cefalea da abuso di farmaci.
Quasi tutti i pazienti che sviluppano cefalea da abuso di farmaci presentano una storia di mal di testa di altro tipo (ad esempio emicrania, cefalea tensiva) che li ha indotti ad iniziare ad assumere analgesici e antiemicranici, e la loro storia di mal di testa è di vecchia data. Infatti, occorrono in media 5 anni dalla comparsa delle prime cefalee e l'inizio di un ricorso regolare ad analgesici e possono essere necessari altri 5 anni perchè si sviluppi uno stato cefalalgico quotidiano. Questo dato inoltre è coerente con l'ipotesi che siano anche altri tipi di mal di testa che si trasformano in cefalea da abuso, ipotesi suffragata anche dal fatto che questo effetto non si manifesta in chi assume ad esempio analgesici per dolori diversi (ad es. artrosici).
Le cause dell’abuso
A questo punto sorgono spontanei i quesiti: perchè il paziente cefalalgico va incontro ad abuso di analgesici? Perchè non tutti i pazienti cefalalgici vanno incontro ad abuso di analgesici?
Prima di tentare di trovare una spiegazione a tali domande, introduciamo un concetto che già da qualche tempo è presente fra chi si occupa di cefalee.
Le cefalee sono attualmente considerate sempre più un disturbo cronico con manifestazioni episodiche.
Tale cronicità si rileva in maniera evidente ed esplicita in base a un progressivo aumento della frequenza delle crisi, ma esistono anche altre caratteristiche cliniche comunque presenti e che non sono in rapporto con la frequenza delle crisi.
Nei pazienti cefalalgici (in particolare emicranici) la cronicizzazione della patologia nel corso del tempo induce modifiche dei meccanismi che regolano la percezione ed il trasporto degli stimoli dolorifici nel sistema nervoso tali da far sì che venga avvertito dolore molto intenso in risposta a stimoli dolorosi lievi (iperalgesia) o peggio ancora in risposta a stimoli che normalmente non sono dolorosi (allodinia).
Con il termine di progressione si indica l’aumento progressivo di frequenza delle crisi che può condurre a emicrania cronica. In alcuni pazienti la progressività del disturbo è resa in maniera evidente dal crescente aumento di frequenza delle crisi che col tempo si ripetono a tal punto da essere presenti in maniera sostanzialmente costante. Quando ciò accade nei pazienti emicranici, si parla di emicrania trasformata o cronica.
La progressione dell’emicrania avviene lentamente nel corso degli anni e mentre aumenta la frequenza ed intensità degli attacchi si riduce la frequenza ed intensità dei sintomi di accompagnamento fino ad avere cefalee sostanzialmente giornaliere con caratteri spesso simili alla cefalea tensiva cronica con sovrapposizione di caratteri emicranici.
Nella maggior parte dei casi la progressione dell’emicrania è correlata ad un uso eccessivo di farmaci. Nel 50% della popolazione però tale progressione è legata ad altri fattori di rischio quali obesità, russamento, disturbi del sonno, traumi cranici e del collo, fumo, caffeina, stress.
La genesi della cefalea da abuso
Il meccanismo attraverso il quale l'uso cronico di farmaci a dosi elevate può trasformare una cefalea primaria in una cefalea indotta da abuso non è noto.
Alcuni studi suggeriscono un possibile ruolo eziopatogenetico legato ad alterazioni del metabolismo della serotonina indotto dall’uso eccessivo di analgesici (in particolare antiemicranici) con effetti anche a livello delle piastrine (riduzione dell' uptake e delle concentrazioni basali di serotonina con aumento compensatorio dei recettori della serotonina sulla superficie delle piastrine).
Altri lavori evidenziano che nei soggetti con cefalee frequenti vi sia accumulo di ferro nel grigio periacqueduttale (PAG) da cui alterazioni di questa struttura nel modulare il dolore in genere e le crisi emicraniche in particolare.
Le caratteristiche principali
La caratteristica principale della cefalea da abuso di farmaci è quella di essere quasi permanente. E' proprio questa assenza di intervalli liberi dal dolore che consente di distinguerla con facilità dalla crisi emicranica che, invece, dura da una a 48 ore poi scompare spontaneamente per ripresentarsi a intervalli regolari, in generale più volte al mese. Anche il tipo di dolore si differenzia: mentre quello emicranico è pulsatile e lancinante, il dolore da cefalea cronica è un dolore diffuso come di cerchio alla testa. A volte può risultare più difficile distinguerla dalla cefalea tensiva. Quest'ultima di solito insorge progressivamente, dura parecchie ore, a volte anche uno o due giorni e si ripresenta a intervalli più o meno regolari ma a volte l'insorgenza diviene più frequente tanto da presentarsi più o meno costantemente.
Inizialmente la ICHD-2 (classificazione internazionale delle cefalee) indicava quale criterio di progressione clinica dell’emicrania la presenza di 15 o più giorni al mese. Successivamente i criteri sono stati modificati: 15 giorni di cefalea al mese e 8 giorni di emicrania o uso di farmaci specifici per l’emicrania
Oltre alla cefalea nei pazienti con cefalea da abuso sono spesso evidenti gli effetti collaterali da abuso di farmaci (problemi gastrointestinali, alterazioni pressorie, sonnolenza o stato ansioso, tossicità epatica o renale) oltre a patologie associate in comorbidità (ipertensione arteriosa, patologie psichiatriche, insonnia, ecc.) da cui alto grado di disabilita’ e compromissione della qualità di vita.
Un aspetto particolarmente rilevante da tenere in considerazione è la presenza quasi costante di disturbi del tono dell’umore nei pazienti affetti da cefalea cronica quotidiana.
Inizialmente si supponeva che tale condizione fosse reattiva allo stato di dolore cronico presente mentre attualmente si ritiene più probabile una comorbilità non casuale fra i due contesti clinici anche in virtù del fatto che alcuni farmaci antidepressivi (ad es. amitriptilina, nortriptilina, etc) agiscono positivamente a bassi dosaggi sui sistemi di controllo del dolore che contengono la serotonina e che sono coinvolti nei meccanismi responsabili dell’insorgenza della cefalea cronica quotidiana.
Approccio terapeutico
L’approccio terapeutico per la cefalea da abuso molto spesso è estremamente soggettivo e varia in rapporto alle condizioni del singolo paziente. Esso comunque non deve mai prescindere dalla ricerca di eventuali cause organiche di cefalea cronica (spesso misconosciute) quali malformazioni cranio-cervicali, disturbi metabolici o vascolari, patologie neoplastiche, ecc. oppure patologie in comorbilità (in particolare disturbi psichici).
Attualmente non esistono linee guida precise per il trattamento dei pazienti con cefalee croniche quotidiane associate a “overuse” di farmaci sintomatici e mancano studi controllati in grado di valutare i vari approcci terapeutici utilizzati.
In linea di massima la terapia è basata su un approccio acuto ed una terapia di profilassi da attuare comunque dopo aver escluso cause organiche di cefalea cronica.
La fase acuta prevede la sospensione del farmaco abusato eventualmente mediante un ciclo di disassuefazione della durata di circa una settimana, controllo di possibili fenomeni di “astinenza” (“withdrawal”) o “rebound” con l’uso di steroidi, benzodiazepine, antiemetici a seconda delle condizioni cliniche ed un trattamento sintomatico specifico per il dolore (possibilmente per via parenterale) con farmaci diversi da quelli normalmente utilizzati dal paziente.
La terapia profilattica, che in genere inizia ad essere efficace dopo la disassuefazione, è basata sull’uso dei farmaci che normalmente vengono utilizzati nelle forme di cefalee primarie. La sua efficacia in genere viene valutata dopo 6 mesi-1 anno ed è ritenuta positiva se si osserva assenza di cefalea o riduzione della frequenza delle crisi di almeno il 50%.
In ogni caso è indispensabile un sostegno psicologico e spesso anche farmacologico al paziente in trattamento sia nella fase acuta che durante la profilassi al fine di ridurre i frequenti abbandoni della terapia ed un conseguente aggravamento delle condizioni iniziali.
La vita non è vivere, ma vivere in benessere
(Marco Valerio Marziale)
(*) Centro per lo studio delle Cefalee e Sindromi Correlate
Ospedale Maria SS. Addolorata - Eboli
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