Vincenzo
Busillo, Dirigente
Responsabile U.O. Neurologia
Ospedale Maria SS. Addolorata Eboli (SA)
Centro Diagnosi e Terapia cefalee e Sindromi correlate
vincenzo.busillo@tin.it
Parole chiave:
abuso, analgesici, cefalea
Introduzione
L’emicrania cronica colpisce il 2% della popolazione mondiale ed
è ritenuta, secondo i dati della OMS, causa di disabilità alla
pari di tetraplegia, demenza o disturbi psicotici.
I costi diretti ed indiretti sostenuti a causa dell’emicrania
cronica sono stimati all’incirca intorno ai 20 miliardi di
dollari/anno negli USA.
I pazienti con emicrania cronica presentano in genere crisi
lievi o moderate. Alcuni dei sintomi accessori (fono-fotofobia,
allodinia, ecc.) possono essere presenti anche durante i periodi
senza crisi. Spesso vi è comorbidità con disturbi del sonno,
disturbi psichiatrici, patologie gastrointestinali.
L’emicrania cronica nel corso del tempo può indurre un uso
eccessivo di farmaci sintomatici, configurando in questo caso un
diverso tipo di cefalea che va codificato come Cefalea da uso
eccessivo di farmaci.
La
Cefalea da uso eccessivo di farmaci.
La prevalenza della cefalea da uso eccessivo di farmaci nella
popolazione generale è di circa il 1,5% con un rapporto di 3:1
fra sesso femminile e maschile. L’emicrania rappresenta la forma
di cefalea più comune associata alla cefalea da uso eccessivo di
farmaci. In una metanalisi che riassume 29 studi, si evidenzia
che il 65% dei pazienti affetti da cefalea cronica da uso
eccessivo di farmaci presentava emicrania, il 27% presentava
cefalea di tipo tensivo e l’8% era affetto da altre forme di
cefalee primarie.
Quasi tutti i pazienti che sviluppano cefalea da abuso di
farmaci presentano una storia di mal di testa di altro tipo (ad
esempio emicrania, cefalea tensiva) che li ha indotti ad
iniziare ad assumere analgesici e antiemicranici, e la loro
storia di mal di testa è di vecchia data. Infatti, occorrono in
media 5 anni dalla comparsa delle prime cefalee e l'inizio di un
ricorso regolare ad antiemicranici; possono essere necessari
altri 5 anni perché si sviluppi alfine uno stato cefalalgico
quotidiano. Questo dato inoltre è coerente con l'ipotesi che
siano altri tipi di mal di testa che si trasformano in cefalea
da abuso, ipotesi suffragata anche dal fatto che questo effetto
non si manifesta in chi assume ad esempio analgesici per dolori
diversi (ad es. artrosici).
Le cefalee sono attualmente considerate sempre più un disturbo
cronico con manifestazioni episodiche. Tale cronicità si rileva
in maniera evidente ed esplicita in base a un progressivo
aumento della frequenza delle crisi ma esistono anche altre
caratteristiche cliniche comunque presenti e che non sono in
rapporto con la frequenza delle crisi.
La cefalea da uso eccessivo di farmaci spesso coesiste con la
CDH (cefalea cronica quotidiana) e frequentemente può inficiare
la terapia di quest’ultima. In particolare la cefalea da uso
eccessivo di farmaci può essere alla base dello sviluppo di una
CDH o del suo potenziamento.
Il rischio di sviluppo di cefalea da uso eccessivo di farmaci
varia a seconda delle singole sostanze utilizzate: gli oppiacei
ed in particolare le associazioni con ac.acetilsalicilico,
acetaminofene o caffeina sono ad alto rischio, i triptani sono a
rischio moderato ed i FANS a basso rischio. La dose critica di
oppiacei era rapportata ad una assunzione di 8 giorni/mese con
effetto più pronunciato nel sesso maschile, l’assunzione di
barbiturici era di 5 giorni/mese con effetto più pronunciato nel
sesso femminile. I triptani ed i FANS inducono trasformazione
dell’emicrania in genere in pazienti che già hanno alta
frequenza critica di base (10-14 crisi/mese).
Ipotesi patogenetiche
Nei pazienti cefalalgici (in particolare emicranici) la
cronicizzazione della patologia nel corso del tempo induce
modifiche alla soglia dolorifica e alle vie centrali del dolore
da cui allodinia e sensibilizzazione centrale. Tali elementi
clinici contribuiscono ad indurre uso continuo e protratto di
analgesici da cui abuso.
Studi neurofisiologici hanno evidenziato che nell’abuso di
farmaci è presente attivazione e facilitazione dei sistemi
nocicettivi delle vie trigeminale e somatiche mediati da livelli
sopraspinali. Ciò induce ad ipotizzare che la sensitizzazione
centrale (processo coinvolto anche nella fisiopatologia
dell’emicrania) potrebbe essere chiamata in causa anche nella
patogenesi della cefalea da uso eccessivo di farmaci.
Nei soggetti con cefalee frequenti si evidenzia la presenza di
depositi di ferro nel grigio periacqueduttale (PAG). L’area PAG,
in relazione con il sistema analgesico discendente, assume un
ruolo rilevante nel controllo del dolore e provvede ai
meccanismi di analgesia endogena. E’ in relazione con il n.
caudalis del trigemino.
Si è ipotizzato che nei pazienti con emicrania e CDH l’omeostasi
del ferro nella PAG fosse ridotta (probabilmente a seguito degli
accessi ripetuti di emicrania). Tale fatto modificherebbe la
capacità della PAG di modulare le crisi emicraniche mediante il
controllo del sistema trigeminovascolare.
Studi effettuati con PET, f-MRI evidenziano che in pazienti
affetti da emicrania in comorbidità con abuso di farmaci sono
presenti specifici patterns cerebrali che indicano alterazioni
metaboliche reversibili nelle vie centrali del dolore ed in
particolare ipofunzione della zona orbito frontale, della
corteccia parietale superiore ed inferiore dx, nel giro
sopramarginale dx. Tali alterazioni scompaiono alla sospensione
dei farmaci in abuso. L’uso cronico di morfina induce un aumento
di impulsi eccitatori discendenti dalla parte midollare
ventro-mediale e ascendenti nel corno dorsale.
Alla base dell’abuso di farmaci può essere presente una vera e
propria dipendenza oppure comorbidità con disturbi psichici (es.
disturbi d’ansia). Su 895 pazienti affetti da uso eccessivo di
farmaci, il 68% presentava 3 dei 5 criteri (DSM IV TR) per la
diagnosi di dipendenza da sostanze contro il 20% senza cefalea
da uso eccessivo di farmaci.
Si è per lungo tempo pensato che questa condizione fosse in
parte reattiva alla condizione di dolore cronico, e questo può
essere ritenuto verosimile, per lo meno in certi casi.
Più recentemente si è visto che spesso vi è una vera e propria
condizione di comorbidità, ovvero un’associazione non casuale
tra cefalea cronica quotidiana e depressione.
E’ interessante sottolineare come queste forme rispondano spesso
positivamente all’impiego di alcuni farmaci antidepressivi,
specie di prima generazione (ad es. amitriptilina, nortriptilina,
etc), farmaci che agiscono sia migliorando il tono dell’umore,
sia avendo un effetto analgesico antidolorifico; questo effetto
si esplica spesso a dosaggi più bassi di quelli necessari per
ottenere l’effetto antidepressivo, e sarebbe legato all’azione
sui sistemi di controllo del dolore che contengono la serotonina
e che sono coinvolti nei meccanismi responsabili dell’insorgenza
della cefalea cronica quotidiana.
Aspetti clinici
La caratteristica principale della cefalea da abuso di farmaci
(Tab.1) è quella di essere quasi permanente. E' proprio questa
assenza di intervalli liberi dal dolore che consente di
distinguerla con facilità dalla crisi emicranica, che, invece,
dura da una a 48 ore, poi scompare spontaneamente per
ripresentarsi a intervalli regolari, in generale più volte al
mese.
Anche il tipo di dolore si differenzia: mentre quello emicranico
è pulsante e lancinante, il dolore cefalalgico è un dolore
diffuso come di cerchio alla testa. A volte può risultare più
difficile distinguerla dalla cefalea tensiva. Quest'ultima di
solito insorge progressivamente, dura parecchie ore, a volte
anche uno o due giorni e si ripresenta a intervalli più o meno
regolari ma a volte l'insorgenza diviene più frequente tanto da
presentarsi più o meno costantemente. In questi casi la
diagnosi si basa su valutazioni cronologiche.
Frequentemente i pazienti assumono analgesici per prevenire
unicamente le temute crisi cefalalgiche da sospensione di
analgesici.
Il sospetto di uso eccessivo di farmaci è già presente quando il
paziente assume analgesici per più di 2-3 giorni a settimana.
La cefalea da abuso di triptani tende a svilupparsi più
rapidamente rispetto agli analgesici tradizionali (addirittura
solo dopo 6 mesi di utilizzo continuativo ogni 2-3 giorni) ed ha
caratteristiche simili all'emicrania oppure si manifesta con un
aumento della frequenza delle crisi.
Solitamente sono le donne, fra i 35 e i 60 anni, che presentano
anche segni più o meno netti di depressione o di ansia, le
pazienti candidate a sviluppare cefalea iatrogena. Il problema
si può presentare anche nei bambini: paracetamolo, paracetamolo
+ codeina e ibuprofene sono stati i farmaci utilizzati in alcuni
dei casi segnalati.
Tab. I
Criteri diagnostici ICHD-2
A.Cefalea presente per ≥15 giorni al mese e che soddisfi i
criteri C e D
B.Uso eccessivo regolare da >3 mesi di uno o più farmaci
che possono essere assunti per la terapia
acuta e/o sintomatica della cefalea
i)
Ergotamina, triptani, oppiacei o combinazione di farmaci
analgesici per ≥ 10 giorni al
mese per > 3
mesi
ii)
Semplici analgesici o qualsiasi combinazione di ergotamina,
triptani, analgesici oppiacei
per ≥ 15
giorni al mese in assenza di abuso di una singola classe
C.La cefalea si è manifestata o è peggiorata nettamente
durante l’overuse del(i) farmaco(i)
D.La cefalea si risolve o ritorna al quadro sintomatologico
iniziale entro 2 mesi dalla
sospensione del farmaco utilizzato in maniera
eccessiva
Strategie terapeutiche
La sospensione acuta del farmaco è il trattamento di scelta ma
la corretta gestione della cefalea da uso eccessivo di farmaci
deve includere vari passaggi:
1)
educazione del paziente:
l’abuso di farmaci, oltre ad essere dannoso, inficia qualunque
terapia preventiva per la cefalea. La maggior parte delle
ricadute avviene durante il primo anno dalla sospensione.
2)
sospensione del farmaco con specifica terapia sintomatica:
la sospensione comporta aumento della frequenza delle crisi
oltre che una serie di disturbi (nausea, vomito, disturbi del
sonno, ansia, agitazione) della durata in genere da 2 a 10
giorni ma anche fino a 4 settimane. La gestione della
sospensione viene in genere effettuata in regime di ricovero ma
può essere effettuata anche ambulatorialmente mediante costanti
controlli. Il tasso di successo terapeutico secondo una
metanalisi da 1 a 6 mesi era del 72,4%. In tal caso l’obiettivo
è ridurre tali sintomi durante la sospensione del farmaco. A tal
proposito non esistono chiare linee guida.
I principali schemi utilizzati prevedono terapie orali e/o
parenterali:
a)
naprossene sodico (550 mg x 2/die fino alla completa sospensione
del farmaco oppure
per 2-4 settimane oppure 550 mg x 2/die per 1
settimana poi 550 mg/die per 1 settimana)
b)
prednisone 60 mg/die per 6 giorni poi riduzione di 20 mg ogni 2
giorni
c)
prednisone 100 mg per 5 giorni
d)
metilprednisolone endovenosa da 100 a 200 mg ogni 12 ore per 2 o
3 giorni
e)
desametasone (i.m. o e.v.) da 8 a 20 mg/giorno per 2-3 giorni
f)
idrocortisone e.v. 100 mg ogni 6 ore per 24 ore; ogni 8 ore per
24 ore; quindi ogni 12 ore
per 24 ore
g)
diidroergotamina 3 mg in 1000 ml sol. salina e.v. +
metoclopramide e.v. in pompa di
infusione costante per 24 ore
h)
diidroergotamina s.c. (1 mg x 2/die per 7 giorni poi 0,5 mg x 2/die
per 7 giorni
i)
valproato di sodio (15 mg/kg in dose iniziale d’attacco poi 5
mg/kg ogni 8 ore per 12-48 ore)
j)
procloperazina e.v. (5-10 mg ogni 8 ore in base all’efficacia
sulla cefalea e sui
sintomi da sospensione)
3)
strategia terapeutica per la crisi acuta e terapia preventiva
per la cefalea con prevenzione delle ricadute:
la profilassi farmacologica in rapporto al tipo di cefalea
sottostante viene in genere raccomandata alla sospensione del
farmaco. E’ consigliabile evitare oppiacei o barbiturici quali
terapie sintomatiche e limitare l’assunzione di triptani o FANS
a meno di 9-15 giorni al mese. E’ importante gestire le
comorbidità (ansia, ecc.) per evitare ricadute.
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