PIAZZA DEL PLEBISCITO E
LA BASILICA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA
Da Piazza Trieste e Trento si accede ad uno dei simboli della città, la meravigliosa Piazza del Plebiscito che prende l’attuale nome dal voto popolare del 1860 sull’annessione di Napoli al regno piemontese di Savoia.
Fu Gioacchino Murat, cognato di Napoleone Bonaparte, sul trono di Napoli dal 1808 al 1815, a decidere di sistemare in modo definitivo il vasto spazio posto di fronte alla reggia, per eliminare il disordine delle costruzioni che vi si affollavano. Il Largo di Palazzo, questo il nome originario della odierna piazza del Plebiscito, svolgeva una funzione molto importante nella vita della città, perché era il luogo destinato alle feste, alle cerimonie e alle parate militari. Furono edificati dapprima il Palazzo del Principe di Salerno e, simmetricamente, il Palazzo della Foresteria, in cui ora ha sede la prefettura. Gioacchino Murat riuscì solo a vedere il progetto e l’inizio della realizzazione del grandioso emiciclo dorico, ideato per lui da Leopoldo Laperuta.
Nel 1815 Ferdinando di Borbone, cacciati i francesi, tornò sul trono napoletano e portò a termine l’opera iniziata da Murat. Ritornato dal suo soggiorno forzato a Palermo durante il decennio bonapartista-murattiano per sedere di nuovo sul trono del suo grande padre Carlo III, Ferdinando IV di Borbone – diventato Ferdinando I in seguito al mutamento del regno di Napoli e Sicilia in quello di regno delle Due Sicilie – volle l’edificazione della grandiosa basilica reale a scioglimento del voto fatto di erigerla e di dedicarla al suo santo protettore, semmai fosse riuscito a riprendersi il trono precipitosamente abbandonato. I lavori della basilica, dedicata a San Francesco di Paola, furono affidati all’impresario teatrale Domenico Barbaja. Questi aveva già scommesso col re che, nel giro di soli nove mesi, avrebbe rimesso in piedi il teatro San Carlo, distrutto nel 1816 da un incendio, il che era puntualmente avvenuto. Adesso scommetteva che i lavori della chiesa, per i quali l’anno precedente era stato bandito un concorso, sarebbero incominciati seguendo i tempi stabiliti: il che, altrettanto puntualmente, si sarebbe avverato.
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Lo spazio per costruire la basilica lo si trovò dietro il colonnato a emiciclo fatto erigere da Gioacchino Murat nel 1809, vistoso elemento architettonico del Foro che doveva portare il nome del sovrano francese, formato da quarantotto colonne di pietra puteolana. Il colonnato fu incorporato nella fabbrica, allineato con il pronao. Al vincitore del concorso, l’architetto luganese Pietro Bianchi, furono dettate alcune condizioni: la chiesa doveva sorgere tra il palazzo della Foresteria e quello del principe di Salerno, sede dei ministeri del regno, e non doveva superare in altezza il prospiciente palazzo Reale. Progettata in stile neoclassico e ispirata chiaramente al Pantheon di Roma, la costruzione ebbe inizio nel 1816 e si concluse nel 1846. La basilica, concepita secondo un disegno più vicino alla politica che all’architettura, è il simbolo del potere religioso che convalida quello della restaurata monarchia borbonica ed è inoltre espressione della religiosità e delle superstizioni dei Borbone: infatti sarebbe stata costruita anche per una profezia di San Francesco di Paola, il quale avrebbe detto a Ferrante d’Aragona, con quattro secoli d’anticipo, che una chiesa sarebbe sorta in quella piazza destinata a diventare la più importante della città.
La basilica è a pianta circolare con piccole cappelle laterali, al centro c’è una rotonda del diametro di trentaquattro metri in corrispondenza della cupola, alta cinquantatre. Questa è sorretta da trentaquattro colonne corinzie dell’altezza di undici metri e altrettanti pilastri di marmo. Di marmo sono anche i confessionali e l’altare maggiore con intarsi di lapislazzuli e pietre dure, provenienti, assieme al tabernacolo, dalla demolita chiesa dei Santi Apostoli, l’altare disegnato da Ferdinando Fuga nel 1751 e il tabernacolo opera seicentesca del Grimaldi. L’ornamentazione è costituita da statue di santi sistemate lungo le pareti e da dipinti di autori in maggior parte ottocenteschi. Maestosa e severa la facciata, con grande spicco del pronao dotato di sei colonne e sovrastato da un timpano triangolare dove lateralmente vi sono statue di San Francesco e San Ferdinando e, al centro, la statua che raffigura la Religione.
Al centro di Piazza del Plebiscito, inoltre, spiccano le due statue equestri di Carlo III di Borbone e Ferdinando IV. La prima è opera di Antonio Canova, cui si deve anche il cavallo della seconda, mentre il re che lo cavalca fu scolpito da Antonio Calì.
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