OPZIONI CHIRURGICHE NEL TRATTAMENTO
DELLE CEFALEE TRIGEMINALI AUTONOMICHE
SURGICAL OPTIONS FOR TRIGEMINAL AUTONOMIC CEPHALALGIAS TREATMENT
Anna Ambrosini, Centro Cefalee – INM Neuromed, IRCCS – Pozzilli (Isernia), via Atinense, 18 - 86079
anna.ambrosini@neuromed.it
Parole chiave: cefalea a grappolo - SUNCT – deep brain stimulation – nervo grande occipitale
Introduzione
La cefalea a grappolo, la più comune delle cefalee trigeminali autonomiche (TACs), rappresenta la più grave forma di cefalea primaria descritta, tanto da meritarsi l’appellativo di “cefalea da suicidio” a causa dei numerosi casi di pazienti che durante gli attacchi hanno tentato – spesso, purtroppo, riuscendoci - di porre fine ai propri giorni, incapaci di sopportare un dolore a tal punto insostenibile. L’avvento dei triptani e dell’uso dell’ossigeno ad elevata velocità di flusso [1] hanno permesso di contenere l’attacco dal punto di vista sintomatico; altresì la scoperta dell’utilità di alcuni farmaci nell’interrompere il decorso delle forme episodiche o nel prevenire le crisi nelle forme croniche (in primis il verapamil) hanno recentemente consentito una gestione farmacologica sufficientemente appropriata di questa patologia. Ciononostante, una piccola percentuale di pazienti, circa l’1%, non risulta sensibile ad alcun tipo di trattamento farmacologico di profilassi, per cui si è resa necessaria la ricerca di altre strategie terapeutiche.
Le opzioni chirurgiche
L’approccio chirurgico è stato declinato in numerosi modi, dalle lesioni con radiofrequenza, iniezioni di glicerolo o compressione con “palloncino”, applicate al ganglio di Gasser, alla sezione o intervento con gamma knife sulla radice trigeminale, alla trattotomia del nervo trigeminale, a lesioni del nervo intermedio o del nervo grande petroso superficiale, al blocco o lesione per radiofrequenza del ganglio sfenopalatino, fino alla decompressione microvascolare del nervo trigemino con sezione del nervo intermedio [2]. Purtroppo queste tecniche non sono scevre da rischio chirurgico e soprattutto sono accompagnate da deficit permanenti, di entità variabile, della sensibilità del volto. Nessuna di esse, comunque, ha mai fornito risultati a lungo termine soddisfacenti nel controllo della cefalea a grappolo cronica; anzi, il fallimento del loro impiego ha portato a considerare di importanza marginale il ruolo svolto dal nervo trigeminale nella fisiopatologia della cefalea a grappolo [3].
Gli avanzamenti più sostanziali negli approcci chirurgici a questa grave e disabilitante patologia sono seguiti all’identificazione del coinvolgimento dell’ipotalamo posteriore nella fisiopatologia dell’attacco di cefalea a grappolo [4]. Conseguentemente a questa osservazione, un gruppo di ricercatori italiani guidati dal Prof Bussone [5] ed in seguito altri gruppi di ricerca hanno messo a punto e perfezionato una tecnica di neurostimolazione (Deep Brain Stimulation) di questa area, con risultati soddisfacenti. Il follow up indica un miglioramento sostanziale delle condizioni di circa il 60 % dei pazienti, con remissioni prolungate nei casi più fortunati o con riduzione del numero di crisi giornaliere, e conseguente riduzione o sospensione della terapia di profilassi [6] – ma anche un non trascurabile rischio di emorragia intra e post-operatoria, che in un caso ha portato al decesso di una paziente [7]. Uno studio multicentrico recente, eseguito da un coordinamento di ricercatori francesi [8], conferma il sostanziale beneficio a lungo termine di questa tecnica, ma introduce un dubbio sulla reale efficacia dell’impatto iniziale dell’intervento, registrando benefici a breve termine sia nei pazienti che ricevevano la stimolazione elettrica nella zona target sia nei pazienti che a loro insaputa avevano lo stimolatore spento. Questi risultati suggeriscono da una parte un possibile effetto placebo dell’intervento, dall’altra il possibile beneficio della sola lesione prodotta dall’introduzione in loco dell’elettrodo. La DBS ipotalamica non si è rivelata utile nel trattamento del singolo attacco, con utilizzazione “a richiesta” [9], ma la neuromodulazione sta trovando un impiego anche nel trattamento sintomatico della cefalea a grappolo. Infatti, dopo un primo studio pilota [10] è attualmente in atto un vasto trial clinico mirante all’impiego della stimolazione “a richiesta” del ganglio sfenopalatino nel trattamento degli attacchi in pazienti affetti da cefalea a grappolo farmacoresistente, con risultati preliminari apparentemente soddisfacenti.
L’invasività della DBS ipotalamica ed i suoi rischi potenziali hanno portato a sperimentare altri possibili impieghi delle tecniche di neuromodulazione a scopo preventivo. La conferma della connettività funzionale tra nervo grande occipitale (GON) e nervo trigemino [11] ed i ben noti benefici procurati dall’iniezione di corticosteroidi ed anestetici all’emergenza del GON sull’interruzione del periodo critico nella cefalea a grappolo [12] hanno portato due gruppi di ricercatori a testare i possibili effetti della neuromodulazione unilaterale [13] o bilaterale [14] del GON nella cefalea a grappolo intrattabile, con risultati meno brillanti ma con impatto meno invasivo e rischioso, tanto da far considerare quest’ultima tecnica, dopo un lungo follow-up [15] come di prima scelta nel trattamento di neuromodulazione della cefalea a grappolo, riservando la stimolazione ipotalamica soltanto ai casi refrattari alla stimolazione del GON.
La neuromodulazione ha trovato applicazione non soltanto nella cefalea a grappolo ma anche in alcune altre forme di cefalee trigeminali autonomiche e forme ad esse affini: la DBS ipotalamica ha fornito apparente beneficio in alcuni casi aneddotici di emicrania cronica parossistica [16] e di SUNCT [17, 18], mentre la neuromodulazione del GON si è rivelata utile nell’emicrania continua [19], un tipo di cefalea primaria anch’essa caratterizzata da importanti segni autonomici e spesso accomunata alle TACs.
Considerazioni conclusive
Gli interventi di neuromodulazione, sia centrale che periferica, sembrano costituire un approccio promettente per quel limitato numero di casi di cefalee trigeminali autonomiche che purtroppo sembra non rispondere adeguatamente a nessun tipo di trattamento farmacologico di profilassi, incidendo in modo significativo sulla qualità di vita di questi sfortunati pazienti. Gli avanzamenti tecnici che giorno per giorno permettono l’affinamento delle tecniche e il progressivo miglioramento delle nostre conoscenze sulla fisiopatologia di questo tipo di cefalee hanno ormai permesso di abbandonare tecniche chirurgiche lesionali – con la sola possibile eccezione relativa alla chirurgia in radiofrequenza del ganglio sfenopalatino [20] – e di orientare l’interesse degli esperti su possibili strategie alternative sempre più efficaci e sicure per alleggerire i pazienti da questo pesante carico.
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