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Miti e i riti del Santo scelto quale immagine-simbolo del meeting



San Sebastiano: un’icona della vittoria sul dolore

di Franco Salerno*

Un martire che eroicamente sopporta il dolore
Emblema della sopportazione del dolore e della bellezza del martirio è San Sebastiano (nome latino che significa “illustre"), venerato sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa, nato forse a Narbona o a Milano nel 256 e morto a Roma nel 288, a soli trentadue anni. Alto ufficiale dell'esercito dell’Imperatore Diocleziano, si segnalò per un episodio miracoloso che fece scalpore. Informazioni e leggende sulla sua vita sono narrate nella Passio Sancti Sebastiani ("Passione di San Sebastiano"), opera a cura di Arnobio il Giovane, monaco del V secolo.
Molti sono i suoi prodigi. Innanzitutto, egli riuscì a convincere due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, arrestati su ordine del prefetto Cromazio, ad affrontare eroicamente il martirio. Poi, mentre dialogava con loro, stupì tutti i presenti, in quanto il suo viso fu circonfuso da una luce, di origine divina, che colpì soprattutto Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si gettò ai piedi del giovane, che, imponendo le proprie mani sulle sue labbra, con un segno di croce, le ridiede la parola. Immediatamente ci furono conversioni a catena: dal marito allo stesso prefetto romano Cromazio. Grande fu l’ira di Diocleziano, che ordinò una terribile persecuzione in cui perirono tutte le persone convertite da Sebastiano, il quale fu sottoposto ad atroce martirio.
Legato nudo ad un palo, egli fu trafitto da molte frecce, per cui i soldati, credendolo morto, lo abbandonarono sul luogo del martirio, come preda per le bestie selvatiche. In realtà, Sebastiano non era morto, per cui, curato da Santa Irene, riuscì a guarire. Ritornato da Diocleziano, fu da costui condannato alla flagellazione fino alla morte, dopo di che il suo corpo fu gettato nella Cloaca Massima della città di Roma.

I molti volti di San Sebastiano nell’arte
Varie sono le modalità di descrizione, nelle arti figurative, del personaggio di San Sebastiano; ma un elemento diventa predominate: la bellezza. Questo topos prende spunto da una leggenda risalente all’VIII secolo, secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon, con l’aspetto di un efebo.
Perciò, da quest’epoca inizia la tendenza, presso pittori e scultori, a raffigurarlo come un bellissimo giovane nudo, legato ad un albero o colonna e trafitto dalle frecce. Scatta così un processo per cui nell’immagine di Sebastiano viene cristianizzato il dio greco Adone, celebre per la sua bellezza, ma destinato a soffrire fino allo strazio del corpo e alla morte. Noi sceglieremo due fulgidi esempi pittorici, raffiguranti il Martire.
Il primo è un dipinto (1476 circa) ad olio su tela, di Antonello da Messina. Il contesto dell’affresco è costituito da alcuni edifici, che hanno un doppio ruolo.
Da un lato, con la loro struttura, essi evidenziano la normalità della sofferenza che si inscrive in un ambiente caratterizzato dalla presenza umana. Lo sfondo è, infatti, animato da una serie di figure: due donne in alto affacciate da una balaustra, un’altra donna con il figlio in braccio, due mercanti in conversazione e due riferimenti alla guerra (un soldato ubriaco e  una coppia di armati): insomma,vari aspetti della realtà, su cui domina sovrana l’imperturbabilità del Santo, che tollera eroicamente e, potremmo dire, stoicamente il dolore (altra transcodificazione di un elemento della cultura antica e pagana). Dall’altro lato, questa cornice architettonica inquadra il corpo del Martire che si accampa monumentalmente nella sua armonica grandezza.

 


Pochi anni dopo, un altro capolavoro ritrae il Santo durante il suo martirio. Questa volta è il magico pennello di Andrea Mantegna che realizza un dipinto a tempera (risalente al 1481 circa), in cui l'immagine di San Sebastiano è più drammatica. Innanzitutto, il volto ha perso quella olimpica tranquillità che gli ha assegnato Antonello: è, infatti, contratto in una smorfia di dolore, anche se il Martire soffre con grande eroismo. In secondo luogo, è svanita quell’aura di luce che ammantava il Sebastiano di Antonello, sublimandolo e proiettandolo in un Olimpo cristiano.
Mantegna, invece, si affida a un registro duro, aspro, icastico, che sottolinea ogni particolare corporeo, attraversato da un dolore lancinante: dalle rughe che scavano il volto del Santo alla tensione dei muscoli, al panneggio dinamicamente gettato intorno ai fianchi del moriente.
Anche il cielo non è più raffigurato con quell’azzurro confortante di Antonello, ma è ammantato da un melanconico grigio. Il corpo del Santo, infine, è legato non al fusto di un albero, ma a due colonne vecchie e mozzate, che rendono cupamente la crisi del mondo antico, su cui si erge la compattezza della fede del Martire.



Pregnanza del culto di San Sebastiano in area folklorica

Il culto di San Sebastiano (festeggiato il 20 gennaio) è diffuso in tutto il territorio italiano con diverse articolazioni. In Liguria, ad esempio, era il protettore contro le invasioni straniere. A Costarainera (Im), infatti, una chiesa (del XIV secolo), a lui dedicata, si trova lungo l’antica via Aurelia, che in quei luoghi passa per le aree interne e non costiere, proprio perché si intendeva proteggere cittadini e viandanti dalle incursioni dei pirati.
Nell’area dell’Italia Meridionale, San Sebastiano viene collegato -anche per la contiguità cronologica- ai culti di altri Santi, come Santa Lucia (13 dicembre) e Sant’Antonio Abate (17 gennaio): questi tre appuntamenti costituiscono una triade del culto della Luce. Ad Accadia (Fg), infatti, il 20 gennaio si svolge la festa patronale di San Sebastiano, caratterizzata da grandi falò che vengono benedetti e accesi durante la processione del Santo.
In Sicilia, invece, prevaleva, nei secoli scorsi, la tendenza ad invocare Sebastiano come protettore contro la peste, diffusasi fin dal 1575, anno in cui essa infuriò colpendo molte città. Nell’isola, in realtà, la devozione verso San Sebastiano era diffusa sin dal 1414, anno in cui, come attesta un documento custodito negli archivi della Basilica, nel paese di Melilli (Sr), presso l'isola Magnisi. Qui fu ritrovata una statua del Santo, che aveva salvato alcuni marinai da un naufragio. Ma i prodigi non finirono qui. Molti fedeli, compreso il vescovo di Siracusa, giunsero sul posto per smuovere la cassa contenente la statua e, eventualmente, trasferirla in altro posto; ma non fu possibile. Ciò riuscì solo agli abitanti di Melilli: era un chiaro segno che il radicamento del culto del Martire doveva essere in questo luogo deputato. Tale ipotesi fu confermata dal fatto che, all'ingresso del paese, si verificò il primo miracolo: un lebbroso venne guarito.


Fuochi e banchetti anche in Sardegna, ad Ulassai, nella provincia dell’Ogliastra. Qui la notte di San Sebastiano (come càpita in Campania per Sant’Antonio Abate) dà inizio all'antico carnevale sardo, chiamato su Maimulu. Questo nome è una variante di Maimone, che in sardo, secondo alcuni, avrebbe indicato l'antica divinità fenicia della pioggia, secondo altri, invece, sarebbe invece derivato da Mainoles (che significa “pazzo”), una variante dell’appellativo greco con cui veniva chiamato Dionisio, dio dell'estasi e dell'ebbrezza.
Tale culto sarebbe poi a sua volta collegato alla danza dei Mamuthones del Carnevale barbaricino, il quale riprende l’antico rito dionisiaco, che una volta era rappresentato dal sacrificio del dio che muore per poi risorgere.


 

 

*Docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Salerno

 



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